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#IlGraffio: Argentina, il passo del gambero dei tango bond

Dall’estate 2014 l’Argentina è in default tecnico su tutte le emissioni obbligazionarie in valuta estera. Ciò è accaduto in seguito alla decisione del giudice USA Griesa, sotto la cui giurisdizione rientrano i bond emessi secondo la legge americana. A questa delibera ne sono seguite altre parecchio contradditorie sul pagamento delle cedole. Cerchiamo di fare chiarezza su cosa è successo.

L’intricata vicenda dei bond argentini

A seguito di due ristrutturazioni del debito estero argentino, nel 2005 e nel 2010, sono stati emessi nuovi bond in valuta attraverso operazioni di swap cui ha aderito il 93% circa dei possessori del debito originario. Gli investitori hanno accettato un taglio (cut-off o write-off) sostanziale, per alcune emissioni sino al 90% del valore nominale originale.

Il 7% che si è rifiutato di aderire agli swap ha avviato azioni legali per vedersi riconoscere il rimborso integrale del debito detenuto (acquistato successivamente, a sconto, oggi quasi integralmente in mano ad alcuni hedge fund USA, per un valore di $1.600 milioni).

Fra le azioni intraprese, vi è stata anche la richiesta al governo USA di sequestro dei beni dello stato argentino posseduti all’estero, richiesta che è stata rifiutata da Washington.

Gli operatori si attendevano un accordo fra governo argentino, Corte USA e creditori (vecchi e nuovi), una volta venuta a scadenza, il 31 dicembre 2014,  la clausola RUFO (Rights Upon Future Offers). Tale clausola vietava al governo argentino (il debitore) di offrire ai (vecchi) creditori che non avevano accettato il rinnovamento dei titoli, condizioni migliori di quelle offerte ai creditori che a suo tempo avevano aderito allo scambio. Ma non c’è stato sinora nessun segno di accordo.

Una vicenda intricata, con colpi di scena che hanno visto proclami, sequestri, minacce da parte dei focosi contendenti.

L’interesse per la vicenda non è solamente finanziario (come saranno rimborsati gli obbligazionisti? E saranno rimborsati?) ed economico (come potrà tornare ad essere un “paese normale” l’Argentina, che è stata in default per i 2/3 degli anni da inizio 1800 ad oggi?) ma anche legale. Un “caso” che potrebbe fare scuola, anche vicino a casa nostra (un necessario riferimento alla Grecia?). Particolarmente avvincente è il tira e molla sul pagamento degli interessi sui bond ristrutturati argentini.

Cedole argentine: si pagano o no?

Dall’estate 2014, il pagamento degli interessi sui bond ristrutturati argentini (emessi sotto la giurisdizione americana ed inglese, in misura inferiore) è bloccato, nonostante il paese abbia i fondi necessari e abbia depositato $539 milioni presso alcune banche (prima BofNY, ora Citibank).

Il giudice USA Griesa (competente perché i bond sono stati emessi sotto la legge USA) ha infatti intimato alla banca di non procedere al pagamento degli interessi, che potranno essere pagati solo dopo il rimborso integrale dei vecchi bond ai detentori che non hanno aderito allo swap (il 7% sopra ricordato). Il governo argentino ha espresso più volte il proprio risentimento per questa situazione, aumentando la pressione, non solo mediatica.

Le ultime vicende hanno visto il giudice USA prima vietare alla filiale argentina di Citibank il pagamento degli interessi, anche su 4 bond in dollari emessi sotto la giurisdizione argentina nell’ambito delle ristrutturazioni del 2005 e del 2010.

Citibank da parte sua ha affermato che i bond non possono essere considerati debito estero e quindi, come tali, non ricadono nel pari passu (parità di trattamento che impone il rimborso del bond in default prima di pagare le cedole sui bond ristrutturati). La decisione presa del giudice si basava su una serie di elementi:

  • i bond in questione, pur emessi sotto la legge argentina, sono frutto dello swap di titoli originariamente emessi sotto la legge USA e quindi devono considerarsi debito estero agli effetti del default argentino;
  • la banca svolge un ruolo attivo nella procedura di versamento degli interessi e quindi può essere sanzionata se non aderisce alla decisione di freezing;
  • il governo argentino ha sollecitato Citibank a pagare gli interessi, sotto la minaccia di ritiro della licenza a operare in Argentina.

E poi, ecco irrompere il classico colpo di scena, con la decisione rivista dal giudice USA nella giornata di lunedì 23 marzo: via libera al pagamento degli interessi in scadenza al 31 marzo 2015. Inoltre non impedisce a Citibank il pagamento di $17 milioni, quota di interessi sui titoli ristrutturati e regolati dalla legge argentina. A condizione, però, che la banca si astenga dal partecipare a operazioni sui titoli argentini.

Quello argentino è un caso che a ogni puntata riserva sorprese e che si comporta “come il gambero”: ritornando sempre al punto di partenza.

Avvocati di governo argentino, governo USA, obbligazionisti, hedge fund, associazioni di investitori obbligazionisti “scottati” dal malaccorto investimento (molti gli italiani che hanno investito tramite banche italiane) e banche varie sono in continuo peregrinare fra speranze e delusioni (per lo più le seconde).

La pace solitamente la firmano i peggiori nemici: in questo caso, essi devono anche decidere su quale carta scriverlo.

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