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#IlGraffio: perchè l’equity crowdfunding in Italia non funziona

Nel mondo, ogni anno si raccolgono 3 miliardi di dollari per finanziare le startup: un fenomeno in forte crescita perché è in forte crescita la voglia di fare impresa da parte di giovani (e non solo) che vogliono misurarsi con il posto più bello che c’è: il mondo dei beni e dei servizi reali, la competizione ad armi pari, il confronto con chi corre la tua stessa corsa.

E in Italia che succede?

I (bassi) numeri dell’equity crowdfunding italiano

Nel 2013, la Consob ha emesso il regolamento sull’equity crowdfunding, la raccolta on-line di capitale destinato a sostegno delle startup innovative. All’epoca furono indicate quasi 4.000 società potenzialmente interessate. Le piattaforme autorizzate sono 15, ma solo 6 risultano attive; i progetti messi sui portali sono 22, ma solo 4 sono arrivati alla fine dell’iter, con una raccolta complessiva di 1,3 milioni (sui 7,4 milioni inizialmente richiesti).

Se guardiamo al numero di progetti finanziati dal crowdfunding, 40 sono in Italia (ottavo posto in Europa), contro i 6.234 degli USA (primo posto) e gli  897 della Gran Bretagna (seconda in Europa). Nei due paesi angolosassoni non vi sono regolamenti stilati da authority, ma vige la regoletta “put your money where your mouth is”, che sta per “devi credere nell’azienda in cui investi”.

L’Italia è stato il primo paese a regolare l’equity crowdfunding, con una norma che possiamo definire sufficientemente trasparente e “pro-business”: il problema quindi, per una volta, non sta nelle astrusità legislative. Eppure questa forma di finanziamento non decolla: perché?

Perché l’equity crowdfunding non funziona in Italia

Sul fronte dell’offerta:

  • troppe piattaforme,
  • dispersione delle competenze,
  • limitate competenze.

Sul fronte dei potenziali investitori:

  • difficoltà di comprendere il business;
  • la ricerca di equity crowdfunding viene dopo i business angel e prima dei seed venture capital: uno spazio che sembra privo di investitori interessati/interessabili;
  • difficoltà (probabilmente) nel vedere un’uscita da investimenti che, a fronte di un potenziale tutto ancora da sviluppare, presentano rischi considerati superiori al potenziale stesso da parte degli investitori. Inoltre i numeri delle proposte sono tutti da valutare e l’incertezza sul fronte domestico ha sicuramente il suo peso.

Sul fronte della domanda: le iniziative sono sostenibili? Sono ben sostenute da business plan e governance coerenti con gli obiettivi dichiarati?

Infine, sul fronte degli advisor, che spesso sono gli stessi portali di equity crowdfunding, serve un piccolo esame di coscienza per vedere se hanno le competenze e le esperienze adatte a portare a compimento i progetti.

Che dire? Speriamo la situazione cambi.

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