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#IlGraffio: un PAC di soldi, ma pochi benefici per i consumatori

PAC Ue alti costi e pochi benefici

La politica agricola comune (PAC) è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza: oggi impegna circa il 35% del bilancio dell’Unione europea (era il 70% negli anni Settanta). L’UE ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche, attraverso le azioni di:

  • abolire i dazi doganali tra gli stati membri;
  • istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli stati terzi;
  • eliminare gli ostacoli tra gli stati membri di capitali, servizi e persone;
  • instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell’agricoltura;
  • agire tramite un Fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti.

Con queste azioni, l’UE vuole raggiungere 2 obiettivi:

  1. soddisfare gli agricoltori grazie al prezzo di intervento (il prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dall’UE), prevedendo che il prezzo delle produzioni non possa scendere al di sotto di quello di intervento;
  2. orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando tecniche agronomiche migliori).

La politica agricola comune presenta quindi tre dimensioni: sostegno al mercato, sostegno al reddito, sviluppo rurale.

Sostegno del mercato e sostegno al reddito sono finanziate esclusivamente dal bilancio dell’UE, mentre la dimensione dello sviluppo rurale si basa sulla programmazione pluriennale ed è cofinanziata dagli Stati membri.

La riforma della PAC

A seguito della riforma del 2013, per beneficiare del diritto agli aiuti al reddito, gli agricoltori sono tenuti ad adottare metodi agricoli rispettosi dell’ambiente: mantenere delle superfici prative permanenti (l’erba assorbe l’anidride carbonica, contribuendo in tal modo a combattere i cambiamenti climatici), avere un numero minimo di colture,  gestire almeno il 5 % dei seminativi (la cosiddetta «area d’interesse ecologico») con metodi che promuovono la biodiversità.

Il programma PAC per gli anni 2014-2020, presentato nel novembre 2013, prevedeva che l’agricoltura europea potesse contare su 408,3 miliardi (il 38% del bilancio UE), poi rivisti al ribasso a 362,8 miliardi di euro. Gran parte dei nuovi fondi saranno erogati sotto forma di aiuti diretti al reddito agli agricoltori, che si impegneranno a rispettare i nuovi vincoli ambientali a tutela del paesaggio e del benessere animale. Il resto (circa 90 miliardi) finanzierà la politica di sviluppo rurale. All’ Italia per il periodo 2014-2020 sono assegnati 41,2 miliardi, cui lo Stato italiano aggiungerebbe 10,4 miliardi di co-finanziamento.

In concreto, la riforma della PAC prevede una riduzione delle risorse UE sino al 30%. Per mitigarne gli effetti, i singoli stati potranno far confluire gli aiuti su singoli settori strategici: l’Italia indica allevamenti, uliveti (l’Italia rappresenta il 17% della produzione mondiale ma oltre il 30% del consumo di olio, risultando quindi un importatore netto) e riso (una commodity che vede l’Italia terzo produttore in Europa, con oltre 4.000 aziende agricole).

Valeva la pena attuare la PAC?

Una valutazione dell’esperienza pluriennale della PAC è nel complesso negativa, avendo essa finanziato la creazione e/o il mantenimento di muri protettivi per molte produzioni nazionali di paesi ricchi, sussidiate dai fondi europei, senza favorire efficienze di mercato, il tutto a spese del contribuente europeo; una situazione che è peggiorata con l’allargamento del numero dei paesi UE, richiedendo ulteriori sostegni per le produzioni meno efficienti dei nuovi entranti; e che sta subendo l’apertura alla importazione di commodity alimentari (come il riso dai paesi dell’Estremo Oriente) da paesi terzi, meno ricchi e quindi con costi di produzione inferiori.

Il consumatore europeo sopporta i costi della PAC, ma non beneficia di prodotti migliori a prezzi contenuti. La PAC è allora paragonabile al nodo gordiano difficile da sciogliere, come hanno avuto modo di verificare generazioni di politici, imprenditori agricoli, allevatori ed agricoltori.

Scritto da

Classe 1955, laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino, master in direzione aziendale alla SDA Bocconi, corsi di perfezionamento alla Harvard Business School. Trentennale esperienza professionale nella finanza bancaria (Citigroup, JPMorgan, Merrill Lynch), finanza di impresa (Finanza Straordinaria Fiat holding, CFO Saiag Comital), consulenza strategica (partner Gea); ha costituito Griffa & Associati, che si occupa di operazioni societarie: fusioni, acquisizioni, M&A, ristrutturazioni industriali e finanziarie. Appassionato di montagna e di mare, lettore di saggi di storia ed economia, dilettante ai fornelli con grande soddisfazione dei figli (azionisti di maggioranza) ed amici. Chief editor del think tank ItaliAperta, collabora a Smartweek.it con la sua “una tazzina di caffè…”: gusto forte e concentrato, ogni mattina.

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