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Sempre più ricchezza nelle mani di pochi, Oxfam: colpa dei paradisi fiscali

Un’economia per l’1%

In un mondo sempre più globale, la ricchezza resta estremamente polarizzata. L’ultima in ordine di tempo a richiamare l’attenzione su una questione trsitemente nota è stata Oxfam, una federazione internazionale di 17 organizzazioni  umanitarie che si batte per contrastare la povertà e le ingiustizie. Proprio alla vigilia del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, Oxfam ha infatti pubblicato un report che già dal titolo non lascia spazio all’immaginazione: “Un’economia per l’1%”.

Il dato citato nel titolo dello studio – calcolato di recente da Credit Suisse – fa riferimento all’1% più ricco del pianeta, che possiede più del restante 99% messo insieme. E il divario tra i più ricchi e i più poveri sta aumentando di anno in anno: nel 2015 le 62 persone più facoltose al mondo concentravano nelle loro mani una ricchezza pari al 50% meno abbiente della popolazione globale – stiamo parlando di 3,6 miliardi di individui. Una rapida “progressione”, se si pensa che nel 2010 le risorse a disposizione della metà più povera del mondo equivalevano alla ricchezza di 388 paperoni, scesi a 177 nel 2011, a 159 nel 2012, a 92 nel 2013 e a 80 nel 2014. Negli ultimi 5 anni poi, la metà più povera del mondo si è ulteriormente impoverita, con un calo della ricchezza a propria disposizione del 41%, mentre il patrimonio delle 62 persone più ricche è balzato in alto del 44% fino a toccare 1,76 trilioni di dollari (1.760 miliardi).

Ma le disparità nella distribuzione della ricchezza, evidenzia il report, si osservano anche tra uomini e donne, con una sproporzione a favore dei primi: un esempio? Persino tra le 62 persone più ricche al mondo, solo 9 sono di sesso femminile.

oxfam

 Infografica a cura di Stampaprint (www.stampaprint.net/it/)

Che fare?

Come fare per correre ai ripari e ridurre questi squilibri che – denuncia Oxfam – rischiano di minare i progressi compiuti negli ultimi 25 anni nella lotta contro la povertà? La ong punta il dito innanzitutto contro i paradisi fiscali che, sostiene, vengono utilizzati da individui e società già facoltosi per evitare di corrispondere la quota di tasse dovuta al proprio Stato. Un comportamento che sottrae ai governi risorse che sarebbero utili per ridurre le ineguaglianze esistenti.

A livello globale, ricorda Oxfam, ammonta a 7,6 trilioni di dollari la ricchezza detenuta nei Paesi considerati “tax havens”: se fossero pagate le tasse sui redditi generati da queste somme, i governi avrebbero a disposizione 190 miliardi di dollari in più ogni anno.

Un altro fattore su cui il report richiama l’attenzione è il calo della quota di reddito nazionale che finisce in mano ai lavoratori in tutti i Paesi sviluppati e in gran parte dei Paesi in via di sviluppo, una dinamica che amplia ancora di più il gap esistente tra la retribuzione di top manager e dipendenti.

E in Italia che succede?

Stando al report della ong, anche nel Belpaese le disparità sono all’ordine del giorno: nel 2015 l’1% più ricco degli italiani era in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta. Non solo: l’incremento della ricchezza registrato nel Paese nel corso degli ultimi 15 anni è andato per la metà a beneficio del 10% degli italiani più ricchi.

Ma come sono stati raccolti i dati citati da Oxfam? La stessa organizzazione spiega di  aver calcolato la ricchezza dei 62 paperoni basandosi sulla classifica annuale di Forbes, mentre per quanto riguarda il patrimonio dell’1% più ricco e del 99% più povero, la fonte è il già citato Credit Suisse Global Wealth Datebook. Va detto per concludere che le statistiche utilizzate da Oxfam considerano anche la “ricchezza negativa”, ovvero i debiti. Questo significa, come ha rilevato il settimanale britannico “The Spectator”, che ad esempio uno studente con un grosso debito universitario risulta più povero di un nullatenente in un Paese del terzo mondo. Oxfam assicura però di aver rifatto i calcoli anche senza tener conto della ricchezza negativa, e che questo non ha cambiato significativamente il risultato finale.

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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