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HomeCAPIRE LA FINANZAFINANZA PERSONALEÈ possibile eliminare il rischio negli investimenti?

È possibile eliminare il rischio negli investimenti?

Quando gli investitori si sentono confusi o semplicemente spaventati prendono decisioni tese ad eliminare il “rischio” dai propri portafogli (nella terminologia anglosassone adottano strategie cosiddette di “risk-off”). “Risk-off” è a mio parere una tipica espressione inventata da analisti a corto di pensiero “indipendente”, che spesso conduce ad asset allocation di portafoglio che nessuna persona “sana” di corpo e di mente considererebbe poco rischiosa.

Alla luce di questa premessa (e rifacendomi in parte a quello che ho scritto negli interventi “The lost decade” e “The next lost decade”) cerchiamo di ripercorrere i principali eventi che hanno caratterizzato  la storia dei mercati finanziari degli ultimi 20 anni.

Alla fine degli anni ’90 i settori TMT (Tecnologia, Media, Telecominicazioni) salirono così tanto in Borsa che arrivarono, per esempio, a rappresentare più di un quarto della capitalizzazione dell’intero S&P500! I pochi che si accorsero della bolla e vollero ridurre il peso di tali settori spesso furono costretti a soccombere alla dittatura del “tracking error” (lo scostamento di performance di un’attività finanziaria rispetto al suo indice di riferimento).

Quando, a partire dal marzo 2000, i settori TMT crollarono, la bolla che riguardava questi settori fu ribattezzata come bolla del “mercato azionario” (in modo improprio se consideriamo l’andamento degli altri settori del mercato azionario) e la colpa del disastro venne imputata alla Federal Reserve.

Ecco che, negli anni immediatamente successivi, vaste aree dell’industria dell’asset management (fondi pensione, fondi comuni di investimento, compagnie di assicurazione) decisero di seguire un approccio più conservativo sui propri portafogli, quindi meno azioni e più obbligazioni. In estrema sintesi: risk-off!

A partire dalla metà dello scorso decennio, il potentissimo flusso di denaro verso gli strumenti obbligazionari iniziò a produrre alcuni “inaspettati” (leggasi: “ridicoli”) risultati. I rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza crollarono a livelli molto bassi e lo stesso Alan Greenspan, allora Governatore della Fed, in un famoso discorso fu costretto ad ammettere che il comportamento della parte lunga della curva dei rendimenti americana rappresentava un “conundrum” (un enigma). Non solo: i rendimenti sulle obbligazioni corporate scesero sotto il livello di crescita del PIL nominale e lo spread di rendimento tra i titoli di Stato dei Paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) e il Bund tedesco quasi scomparve. Ecco che, per ovviare alla situazione di bassi rendimenti in tutti i comparti del reddito fisso, due soluzioni furono trovate dall’industria dell’asset management:

  1. i CDOs (Collateralized Debt Obligations) tripla A;
  2. un re-ingresso nel mercato azionario prevalentemente attraverso hedge funds e fondi di private equity (con un ripristino dell’esposizione azionaria probabilmente  ai livelli di prima ma a prezzi più elevati, con costi commissionali più elevati e con una liquidità molto più bassa).

Riteniamo superfluo commentare le conseguenze dei massicci investimenti che si riversarono sui CDOs (molti dei quali erano costituiti dalle “tristemente” famose cartolarizzazioni dei mutui subprime). Quanto all’investimento azionario, la più elevata porzione di capitalizzazione (una volta detenuta dai TMT) nella seconda metà degli anni 2000 era appannaggio del settore finanziario. Di nuovo: l’idea di non avere banche in portafoglio sarebbe stata considerata altamente rischiosa poiché il tracking error di portafoglio sarebbe espoloso. Anche in questo caso, quindi, la dittatura del tracking error avrebbe impedito all’industria dell’asset management di stare lontana dall’epicentro della crisi. Come era successo in occasioni analoghe in passato, la risposta universale dell’industria dell’asset management fu di nuovo “risk-off” e ancora più obbligazioni. Fino a buona parte del 2008 i titoli di Stato greci erano arrivati a pochi centesimi di spread di rendimento rispetto ai bund tedeschi e, in generale, tutti i titoli di Stato dei Paesi Mediterranei, con la benedizione delle agenzie di rating, attirarono Fondi Comuni di Investimento, Banche, Compagnie di Assicurazione in quella che poi si rivelò una monumentale fonte di perdite di portafoglio.

Oggi il rendimento dei titoli di Stato americani, ossia i titoli emessi da un Paese che ha un deficit di bilancio secondo solo a quello greco e con un rapporto Debito Pubblico/PIL superiore al 100% (se correttamente misurato), è inferiore al tasso d’inflazione. Evidentemente la mentalità “risk-off” sta creando anche oggi delle favolose opportunità di mercato: la corsa verso tutto ciò che si chiama “obbligazione” ed è reputato “sicuro” sta distraendo gli investitori da migliori opportunità di investimento altrove.

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