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Rischio valutario, se lo conosci lo gestisci meglio

Cos'è il rischio valutario legato agli investimenti e come gestirlo

Rischi, rischi, rischi: la vita è fatta di rischi. Fra quelli connessi agli investimenti in strumenti finanziari1, la nostra Commissione Nazionale per le Società e la Borsa2 – che fra le altre cose è chiamata a vigilare sul risparmio – segnala quello valutario. Che è esattamente il tipo di rischio sul quale intendiamo concentrarci oggi.

In termini generali, ogni strumento finanziario è denominato in una valuta. Che non sempre coincide con quella di riferimento dell’investitore, per esempio l’euro per l’investitore italiano. Quando non è la stessa, per valutare la rischiosità complessiva dell’investimento bisogna tener conto anche della volatilità del rapporto di cambio fra la valuta di riferimento dell’investitore (per esempio, appunto, l’euro) e quella in cui è denominato l’investimento.

Questo perché, come si può forse intuire, l’andamento dei tassi di cambio può influire sul risultato dell’investimento.

 

Ma cos’è la valuta di denominazione?

Quando allarghiamo le possibilità d’investimento alle piazze e ai mercati esteri, c’è una cosa che dobbiamo tenere in considerazione: e cioè che, oltre allo strumento finanziario, andiamo a comprare anche la divisa in cui è denominato. Dicesi valuta di denominazione la valuta, appunto, in cui è avvenuta l’emissione dello strumento finanziario, sia esso azione od obbligazione.

Nel caso di veicoli come gli ETF, poi, il discorso si complica ulteriormente: qui, infatti, occorre tener conto della distinzione tra valuta degli asset sottostanti, valuta di denominazione e valuta di negoziazione.

  • La prima è appunto quella in cui sono stati emessi gli asset sottostanti;
  • la valuta di denominazione è quella in cui l’ETF è stato emesso;
  • la valuta di negoziazione è quella in cui l’ETF viene negoziato (in euro su Borsa Italiana, per esempio).

Nel soppesare il rischio valutario dell’ETF bisogna considerare la prima, dunque la valuta degli asset sottostanti.

Poniamo di avere di fronte un ETF azionario che replica l’andamento di un indice di aziende a piccola e media capitalizzazione giapponesi e che ha come valuta di denominazione il dollaro USA: il cambio da monitorare, per noi che abbiamo come valuta di riferimento l’euro, e l’euro/yen e non l’euro/dollaro USA.

 

 

Effetto cambio sul portafoglio

Come detto, le valute incidono sui rendimenti del nostro portafoglio. Rifacendoci all’esempio precedente, abbiamo che:

  • se il cambio euro/yen sale da 100 a 110, con la moneta unica che si rafforza rispetto a quella nipponica, l’investitore ne risente negativamente, perché l’apprezzamento si mangia almeno in parte il rendimento dell’ETF, oltre a pesare sull’eventuale plusvalenza in caso di vendita;
  • se il cambio euro/yen, al contrario, passa da 110 a 100, con la moneta unica che si indebolisce rispetto alla divisa giapponese, allora l’investitore ne risentirà positivamente, in termini di rendimento e di eventuale plusvalenza.

 

Come funziona la copertura valutaria

Rimaniamo in tema ETF. Per ovviare al problema del rischio valutario, volendo si può ricorrere all’apposita copertura. La quale, va detto, non cancella totalmente i rischi associati ai tassi di cambio. In più, non è gratis: ha un costo che, a sua volta, rosicchia un po’ (o tanto, a seconda del prodotto) il rendimento. Al netto dei ricarichi, il costo della copertura è grossomodo pari alla differenza tra tasso a breve della valuta estera e tasso a breve dell’euro.

È importante poi non giungere alla conclusione che il rendimento ottenuto con la copertura valutaria equivalga in tutto e per tutto a quello ottenuto da un investitore che ha nella valuta del sottostante la sua divisa di riferimento. Questo per due ordini di motivi: primo, gli strumenti che ricorrono alla copertura valutaria (anche detti “hedged”) hanno generalmente costi più alti rispetto ai loro corrispettivi “non coperti”.

Secondo: per creare uno strumento finanziario con copertura valutaria, i gestori di fondi o gli emittenti di ETF fanno ricorso a contratti a termine su tassi di cambio, in forza dei quali due parti sono obbligate a scambiarsi un ammontare fisso predeterminato di valuta estera (quella in cui sono denominati gli strumenti contenuti nel paniere dell’ETF) in cambio della valuta di riferimento dell’investitore in una tal data nel futuro.

Ora, su questi contratti grava l’effetto rolling. Il contratto, infatti, ha una scadenza e va periodicamente rinnovato, rinnovo che avviene tramite il cosiddetto rollover, il cui costo si chiama roll cost. Il rendimento generato da questo processo di “rinnovo e sostituzione” può essere negativo o positivo: il rendimento roll è dato appunto dalla differenza fra valore del contratto in essere e valore del contratto successivo.

 

In conclusione: coprirsi o non coprirsi?

Tuttavia, è indubbio il vantaggio offerto dalla copertura valutaria in termini di riduzione del relativo rischio, anche se comporta costi più alti e un più ristretto ventaglio di opportunità.

 

copertura e non | amCharts

 

Tale vantaggio si può apprezzare specialmente in un orizzonte temporale di lungo periodo, fermo restando che per proteggersi dalle fluttuazioni valutarie è bene anche non investire solo e soltanto nella propria area valutaria e, al contempo, diversificare l’esposizione alle valute estere.

 



1 – #ABCFinanza: cos’è il rischio di un investimento?
2 – Rischi d’investimento, fonte: CONSOB

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Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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