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Dalla Germania sulle ali del FinTech: parla il CEO di Number26

“Avere una buona idea è sicuramente importante. Ma la cosa fondamentale per avere successo è riuscire a realizzarla nel modo giusto e a portarla sul mercato: questo è particolarmente difficile in ambito Fintech.”

A parlare è Valentin Stalf, classe 1985, CEO e co-fondatore di Number26, la start-up tedesca che ha lanciato lo scorso anno un conto corrente gestibile esclusivamente via smartphone.

Noi lo abbiamo incontrato a Milano in occasione del FinTechStage ai primi di maggio e ne abbiamo approfittato per chiedergli un paio di cose. Tra le quali c’è anche il motivo per cui ultimamente dall’Italia non è più possibile attivare il servizio – e la risposta fa sorridere, se si pensa che stiamo parlando di un servizio iper tecnologico. Ma questo lo vedremo più avanti. Prima occorre fare un passo indietro.

Cos’è Number26?

Number26 – 26 come le mosse necessarie a risolvere il cubo di Rubik – è partita in Germania e in Austria a inizio 2015, ed è disponibile oggi anche in Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Slovacchia e Spagna con un totale di 160.000 clienti. L’idea alla base del servizio è quella di semplificare al massimo la vita dei clienti. Per aprire il conto basta scaricare l’app, dare il proprio indirizzo mail e il numero di cellulare, e collegarsi in videocall con un operatore, che chiederà di mostrare la propria carta di identità e di rispondere a qualche domanda (il tutto in non più di 8 minuti, assicura Stalf).

Una volta iscritti, viene recapitata a casa una carta di credito MasterCard – che è partner di Number26 – utilizzabile senza commissioni. Number26 – che non ha branch fisiche – non è una banca: opera infatti grazie a Wirecard Bank, un istituto di credito tedesco che è anch’esso partner della start-up. Tutti i conti correnti vengono aperti presso Wirecard e i risparmi depositati sono sotto la sua gestione.

Valentin Stalf

Valentin Stalf

Valentin, come sta andando il servizio in Italia? E come mai in questo momento non è possibile iscriversi?

Semplicemente abbiamo esaurito le carte! Ecco perché siamo fermi in Italia. Ma spero che potremo tornare operativi nel giro di un paio di mesi. Comunque in generale in Italia stiamo avendo un buon seguito, così come in Francia, che attualmente è il nostro mercato più forte al di fuori di Germania e Austria. E questo nonostante il nostro servizio sia per ora solo in inglese o in tedesco, quindi vedo spazio per crescere ancora, una volta che sarà tradotto. Sia in Italia sia in Francia le persone lamentano spesso i costi eccessivi e il servizio non soddisfacente della banche tradizionali: questo è un buon punto di ingresso per noi, che sappiamo come offrire una buona user experience e facciamo grande attenzione al pricing.

Quali sono i vostri piani per il futuro?

Nei prossimi due anni vorremmo allargarci a una ventina di mercati in Europa, ma siamo consapevoli che per partire in un nuovo mercato è importante capire se sia possibile raggiungere una dimensione interessante: non ha senso aprire e poi rimanere un player di nicchia. Il nostro obiettivo è quello di essere un player dominante nella fascia di clientela costituita dai nativi digitali, ovvero nella fascia 18-35 anni, che nel Vecchio Continente sono circa 60 milioni di persone. Ovviamente puntiamo anche ad altre fasce di età, ma forse per conquistarle ci vorrà un po’ più di tempo.

Come siete arrivati fin qui?

Prima di lanciare Number26 ho lavorato per un periodo in Rocket Internet, un incubatore tedesco, e in quell’occasione ho avuto il primo contatto ravvicinato con il mondo bancario: è lì che mi sono reso conto di quanto tutto proceda lentamente in quel settore e così ho deciso di fare qualcosa per il consumatore finale. La mia idea è che l’esperienza bancaria debba essere semplice, trasparente e immediata e so che oggi tutto questo è possibile facendo leva sulla tecnologia.  Abbiamo cercato dei finanziamenti e siamo stati fortunati, così siamo partiti (la società ha ricevuto finanziamenti per 12,6 milioni di euro e vede tra i suoi investitori Earlybird Ventures, Valar Ventures, Redalpine Ventures, Axel Springer Plug e Play, ndr).

Ma l’idea non è tutto. Quello che è davvero fondamentale è avere una visione chiara di dove si sta andando, di quello che serve, di cosa è importante tenere inhouse e cosa si può esternalizzare. Solo così si può arrivare a realizzare un buon prodotto e a portarlo sul mercato, il che è particolarmente complesso nel mondo del FinTech, perché il settore bancario è ricco di regolamentazioni e vincoli.

 


 

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Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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