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Terre rare, ma perché sono così uniche?

Avete mai sentito parlare di terre rare? Sono 17 elementi con nomi assolutamente poco noti1, ma fondamentali per la produzione di smartphone, veicoli elettrici, motori degli aerei, turbine eoliche e batterie. Non proprio cose di cui potremmo facilmente fare a meno, ecco.

Prendiamo il caso degli smartphone: uno smartphone medio contiene fino a 62 diversi tipi di metalli. E, a seconda del modello, tra 8 e 16 di essi fanno parte del gruppo delle terre rare. Ebbene, senza l’aiuto di questi elementi, il nostro smartphone non avrebbe colori così vividi e non sarebbe nemmeno in grafo di vibrare.

Non finisce qui. In un’auto come la Toyota Prius si trovano circa 25 kg di metalli rari e in un jet caccia F35 ce ne sono oltre 410 kg. Per non parlare del fatto che oltre il 90% dei veicoli elettrici in circolazione si basa su motori con magneti di terre rare.

Insomma, possiamo dire senza timore di esagerare che ogni economia moderna ha bisogno delle terre rare, come ci è già capitato di dire in un precedente post sul tema2.

 

Breve ripasso: perché si chiamano così?

A dispetto del nome, le terre rare in realtà non sono poi così rare. Anzi, sulla crosta terrestre se ne trovano in abbondanza. Il problema è che questi materiali sono difficilissimi (e molto costosi) da estrarre e isolare, perché in natura si trovano mescolati con altri minerali e devono quindi essere separati.

Un processo lungo e costoso, oltre che decisamente poco sostenibile a livello ambientale: i solventi e gli acidi utilizzati sono infatti dannosi per l’ambiente e durante il processo vengono rilasciate scorie radioattive. Il tutto senza considerare che i metodi di estrazione e separazione variano a seconda del metallo che si vuole estrarre, il che richiede tecnologie e know how molto specifici.

 

Cosa rende le terre rare così uniche?

Questi 17 elementi hanno delle caratteristiche fisiche e chimiche piuttosto uniche, che proviamo a riassumere qui di seguito.

 

 

Il ruolo sempre più importante della Cina

Quando si parla di terre rare, c’è un altro “piccolissimo” problema da tenere a mente: la Cina ha progressivamente guadagnato il dominio globale nell’estrazione e nella lavorazione di questi elementi. Il che apre anche una questione geopolitica, con diversi Paesi, Stati Uniti in primis, che cercano in tutti modi di rientrare nella partita.

Basta dare una scorsa a questi numeri per capire le dimensioni del fenomeno:

  • 60%: è la quota di mercato globale della Cina nell’estrazione di terre rare nel 2019.
  • 87%: è la quota di mercato globale della Cina nella lavorazione delle terre rare nel 2019
  • 185mila tonnellate: è la quota di terre rare prodotte dalla Cina nel 2021
  • +20%: è l’incremento di questa quota rispetto al 2020.

 

Come siamo arrivati a questo punto?

In realtà, spiega un interessantissimo podcast di Quartz sul tema, inizialmente la Cina non era in una posizione di vantaggio né nell’estrazione né nella lavorazione delle terre rare. Ci è arrivata con il tempo, grazie a una politica industriale mirata.

Negli anni Ottanta per esempio, Pechino ha introdotto delle agevolazioni fiscali sulle esportazioni per incoraggiare la produzione di terre rare: in pratica, i produttori venivano ripagati delle tasse esportando terre rare.

Successivamente, il governo ha cercato di regolamentare un po’ di più la situazione introducendo, intorno agli anni Novanta, un sistema di quote volto a favorire le esportazioni di terre rare lavorate rispetto ai materiali “grezzi”, in modo da aumentare i margini di guadagno.

Negli anni 2000, poi, con la concorrenza estera in aumento, la Cina è nuovamente intervenuta per regolamentare il settore dall’interno, con l’obiettivo di impedire alle aziende locali di vendere le terre rare a prezzi eccessivamente bassi. Oggi l’industria cinese è concentrata intorno a sei giganti statali che controllano la produzione e la lavorazione delle terre rare.

 

 

In tutto questo, gli Stati Uniti hanno dominato il settore su scala globale grazie al colosso californiano Molycorp più o meno dagli anni Sessanta e fino agli anni Novanta. Dopo di che, all’inizio degli anni 2000, la società americana è stata messa in un angolo dai prezzi stracciati della concorrenza cinese. E nel 2015 ha dichiarato bancarotta.

Ora, nel 2018, Molycorp ha riavviato le attività sotto la nuova proprietà di una compagnia chiamata MP Materials. E l’amministrazione Biden ha dichiarato l’intenzione di rafforzare alcune catene di approvvigionamento di importanza critica, tra cui proprio quella che riguarda le terre rare. Naturalmente tutto questo non giova ai rapporti già difficili con Pechino.

 

Lo sapevate che… ?

Per concludere, vi lasciamo con due curiosità sulle terre rare (la fonte è sempre Quartz, che ha anche dedicato una newsletter a questo argomento):

  • L’europio, che assume una fluorescenza rossa sotto i raggi ultravioletti, è presente nelle negli euro in banconota per motivi anticontraffazione: le banconote false non arrossiscono!
  • L’unico membro del gruppo delle terre rare che non è presente negli smartphone è il promezio. Questo elemento, infatti, è radioattivo: meglio non tenerselo in tasca.

 



1. Lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio, ittrio, promezio e scandio.
2. Terre rare: cosa sono e perché sono importanti per l’economia globale?

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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