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La “rivincita” del QR Code

La “rivincita” del QR Code

Per anni è rimasto nel dimenticatoio, ritenuto inutile e privo di senso specialmente nel mondo Occidentale. Ma con la pandemia ha finalmente avuto la sua rivincita. Stiamo parlando del QR code, quel piccolo quadrato composto da altri quadratini bianchi e neri disposti in modo differente, a seconda delle informazioni che contiene: si tratta vere e proprie sequenze di informazioni, a volte anche complesse. Una volta scansionato – tipicamente con la fotocamera dello smartphone – questo codice è in grado di portare il proprio contenuto dall’offline all’online in maniera rapida. Esistono diversi tipi di QR: alcuni possono contenere per esempio le informazioni riportate su un biglietto da visita (inquadrandolo, è possibile salvarle direttamente sul proprio smartphone), altri rimandano a un sito web.

 

Una nuova primavera grazie al covid

Ampiamente diffuso in Cina, il QR Code (che sta per Quick Response Code, cioè codice a risposta rapida) non ha mai veramente spopolato in Europa o negli Stati Uniti. Ma con la crisi sanitaria scoppiata a inizio 2020, sembra che il vento sia girato finalmente a suo favore: improvvisamente, infatti, nessuno ha più voglia di toccare gli oggetti che passano di mano in mano – come le banconote o il menù di un ristorante: potrebbero essere veicoli di contagio. Ecco allora che il tanto vituperato QR Code torna in auge, grazie alla sua capacità di colmare il divario tra il mondo fisico e quello digitale. Non vi è ancora capitato di vederlo sul tavolo di un ristorante? O di trovare, pagando con PayPal, la nuova opzione touchless basata proprio su QR Code?

Non finisce qui: i “quadratini neri” iniziano ad avere un certo successo anche in ambito sanitario, con diverse case farmaceutiche che stanno mettendo a punto app per certificare lo stato di salute degli utenti tramite codici QR. Ad esempio, l’americana Abbott sta lavorando a una app che registrerà i risultati dei tamponi rapidi degli utenti e genererà un codice QR: per entrare in ufficio o imbarcarsi su un aereo sarà necessario scansionare questo codice.

 

Perché non piace?

Non c’è niente di nuovo sotto il sole: in Cina – grazie soprattutto a WeChat – i QR code sono utilizzati ovunque per i pagamenti digitali. Ma per buona parte del resto del mondo, l’improvvisa proliferazione dei quadratini neri rappresenta una inattesa rivincita di una tecnologia finora “incompresa”.

Certo, un motivo c’è – anzi, più di uno – se l’Occidente in generale, e l’Italia in particolare, sono rimasti così scettici per anni nei confronti dei codici QR. Tanto per cominciare, non in tutti i dispositivi mobili è presente un QR Code reader incorporato e quindi è richiesto il download di un’applicazione specifica – e già questo potrebbe aver fatto passare la poesia a diversi utenti.

Inoltre, in un Paese come Italia (ma non è certamente l’unico) la connessione a banda larga non arriva ovunque, anzi: esistono ampie zone non coperte. Infine, tradizionalmente gli italiani sono un po’ restii ad abbracciare le nuove tecnologie, soprattutto quando si parla di pagamenti o servizi bancari – e anche questo può aver giocato contro i codici QR. Vero è che ultimamente anche la Pubblica Amministrazione ha inserito i QR Code sui bollettini postali – bollette, multe e quant’altro: il che, per chi ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo dando una chance a questa tecnologia, rende il pagamento veramente molto più rapido, provare per credere.

 

Ma come funziona un codice QR?

La tecnologia è simile a quella dei codici a barre che si vedono su scaffali e prodotti – solo che i QR Code immagazzinano le informazioni nei quadratini anziché nelle linee. Sembra una differenza da poco, ma non lo è: i codici a barre standard, basati su una serie di barre unidimensionali, possono contenere fino a 20 caratteri di testo di informazione, spiega Quartz. L’utilizzo dei quadrati consente invece di immagazzinare le informazioni in due dimensioni, portando la “capienza” dei codici QR a migliaia di caratteri di dati.

L’altra differenza sostanziale è che, mentre per leggere un codice a barre è necessaria una linea di luce laser, per leggere un codice QR basta una fotocamera, che scatta un’istantanea dell’intero codice e poi utilizza i caratteri contenuti al suo interno per decifrarlo.

 

 

Come sono fatti questi quadrati di codice?

Avrete sicuramente in mente come si presenta un codice QR – è lo stesso che compare quando si vuole aprire WshatsApp su desktop – ma cosa significano tutti quei quadratini?
Un QR standard è composto da tre quadrati grandi posizionati su tre angoli del quadrato “cornice” – essi servono per consentire alla fotocamera di identificare i bordi del codice. Un quadrato leggermente più piccolo nell’angolo rimanente aiuta lo smartphone che lo inquadra a cogliere le dimensioni e la posizione dell’immagine rispetto all’inquadratura. Il motivo rimanente – sempre composto da quadratini, ma più piccoli, nel mezzo del QR code, contiene le vere informazioni e cambia in ogni codice.

 

Un po’ di numeri per inquadrare il fenomeno

 

Un po’ di storia

Il primo QR Code ha visto la luce nel 1994 ed è stato usato dalla casa automobilistica giapponese Toyota per identificare e tracciare i pezzi di ricambio. Successivamente, a partire dagli anni 2000, in questo piccolo “quadrato fatto di quadratini” sono state memorizzate informazioni sempre più complesse. Ma è dal 2010 che è davvero iniziata l’ascesa di questa tecnologia. Da quell’anno infatti, gli smartphone sono stati in grado di leggere i codici QR – solo però dopo aver scaricato una app specializzata nella scansione.

Nel 2011 Alipay (braccio finanziario del colosso cinese Alibaba) ha iniziato a utilizzare questi codici e, nel 2014, anche WeChat ha creato un sistema di pagamento basato su QR. Il ceo di Snapchat, Evan Spiegel, ha poi deciso di creare una versione proprietaria di questa tecnologia per la sua app (battezzata SnapCodes e utilizzata per facilitare “l’aggiunta” di un amico ai propri contatti) – seguito a stretto giro da Facebook, Twitter, Spotify e Amazon.

 

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Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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