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Addio al gas russo: come (e a che prezzo) se la caverà l’Europa?

Mission impossible? Oppure possibilissima, magari agganciandola alla sfida (tosta, ma ormai ineludibile) della conversione alle fonti rinnovabili?

Quel che è certo è che, dopo l’avvio delle operazioni militari russe in Ucraina, la Commissione europea ha sbattuto la faccia in pieno – e molto malamente – contro la sua dipendenza dai combustibili fossili russi e sta quindi facendo i conti (conti che non è semplicissimo far tornare) con l’urgenza di ridurre drasticamente l’import dalla Russia.

In un report recentissimo e molto interessante, S&P Global Ratings si domanda come si metteranno le cose per i player europei del gas. Le premesse non sono incoraggiantissime (e neanche le conclusioni del report, a dir la verità). Perché?

Cominciamo col dire che, al momento, non esistono fornitori alternativi così determinanti da riuscire a sostituire i consistenti volumi provenienti dalla Russia. E alcuni settori industriali ad alta intensità energetica – come fertilizzanti, acciaio e carta – potrebbero dover optare per chiusure temporanee degli impianti. Nuovi lockdown, insomma, ma stavolta di matrice bellica e non pandemica. Con tutte le relative ricadute sul Pil dell’area euro.

 

Uscire dall’impasse: qual è il piano dell’Europa?

L’8 marzo la Commissione europea ha svelato le linee generali del suo piano per rendere il continente indipendente da petrolio e gas russo. La proposta si chiama REPowerEU e proverà ad applicare il concetto di diversificazione – di cui tante volte vi abbiamo parlato, discettando di portafogli d’investimento – alle forniture di gas.

Ma gli obiettivi sono persino più ambiziosi: si parla infatti di accelerare il lancio di gas rinnovabili (biogas, biometano, idrogeno verde e metano sintetico) e addirittura di sostituire il gas nel riscaldamento e nella produzione di energia.

Un piano decisivo per la sicurezza energetica dell’Europa, dice S&P Global Ratings nel suo report, ma che “potrebbe non essere facile da attuare”. Perché? Per una serie di motivi. Fra questi, il fatto che ci vorrà tempo per espandere la capacità di rigassificazione e che la maggior parte della produzione mondiale di gas naturale liquefatto è attualmente bloccata in contratti a lungo termine non destinati all’Europa. Ed è improbabile che ci siano grossi incrementi di fornitura prima del 2025-2026.

 

Ma quanto dipende l’Europa dal gas russo?

L’Unione europea importa il 90% del gas che consuma e, in media, circa il 40% arriva dalla Russia (45% nel 2021). Si tratta di circa 140 miliardi di metri cubi all’anno. Situazione molto diversa da quella del Regno Unito, che al contrario importa solo il 5% del suo fabbisogno totale di gas dalla Russia.

 

 

“Crediamo che, nel migliore dei casi, a parità di condizioni, l’Europa possa trovare circa 50 miliardi di metri cubi di gas altrove”. Ma resterebbe da riempire il non indifferente buco dei restanti 90 miliardi di metri cubi.

In ogni caso, secondo S&P Global Platts Analytics, le fonti più probabili quest’anno sarebbero (in ordine di probabilità):

• le importazioni internazionali di gas naturale liquefatto (25 miliardi di metri cubi);
• la riserva strategica italiana (4,6 miliardi di metri cubi);
• un potenziale aumento della produzione norvegese (10 miliardi di metri cubi);
• flussi aggiuntivi verso l’Italia da Algeria e Libia (rispettivamente, 10 e 4 miliardi di metri cubi);
• un aumento della produzione nei Paesi Bassi attraverso l’espansione della concessione sul giacimento di Groningen (2 miliardi di metri cubi).

 

 

Dare gas all’Europa: una sfida bella tosta

E ci dice bene che stiamo andando verso l’estate (e che comunque gli inverni, almeno alle nostre latitudini, non sono più rigidi come un tempo, quindi con una certa dose di ironia potremmo quasi dire “grazie tante, riscaldamento globale”).

Tuttavia, leggiamo ancora nel report, l’estate è di solito il momento in cui i Paesi ricostituiscono le loro scorte di gas per affrontare l’inverno successivo. E al momento il “magazzino” europeo è pieno per meno del 30%. Come facciamo ad arrivare a 100?

Finora, pare che Gazprom stia rispettando i suoi obblighi. Nell’ambito, tuttavia, delle quantità indicate negli accordi contrattuali. Nulla di più. E con la guerra in corso, il rischio di un’interruzione delle forniture – per danni alle infrastrutture in Ucraina, per uno stop del governo russo, per il rafforzamento delle sanzioni europee – è dietro l’angolo. Senza contare l’eventualità di un default: in quel caso, non si sa cosa potrebbe succedere alle consegne di gas in Europa.

E tuttavia, dopo l’impennata, il prezzo del gas intanto ha ripiegato.

 

 

Quali ricadute avrà la crisi energetica?

Potrebbe imprimere un’accelerazione al percorso intrapreso dall’Ue per passare alle rinnovabili. Il che potrebbe tradursi in un’opportunità molto interessante anche per le società di servizi, per quanto la conversione possa essere – non ce lo dobbiamo nascondere – anche molto dispendiosa.

“Rimaniamo cauti sul modo in cui l’Europa prevede di sostituire il gas russo”, dichiara quindi S&P Global Ratings. “Uno squilibrio tra domanda e offerta potrebbe continuare a spingere i prezzi oltre il 2025”. Non è escluso che l’Europa decida di dare priorità alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico accantonando l’imperativo della decarbonizzazione.

Cosa vuol dire? Due cose, essenzialmente. Nessuna delle due particolarmente amata dagli ambientalisti.

• Maggior uso di carbone e impianti di lignite.
• Riscoperta del nucleare.

 

 

Verso la riscoperta del nucleare?

“L’estensione della durata di vita degli impianti esistenti”, si legge nel report di S&P Global Ratings in riferimento al secondo punto, “potrebbe dare ai progetti sulle rinnovabili del tempo prezioso per espandersi e contribuire all’indipendenza energetica dell’Europa. Non a caso, la tassonomia Ue punta a includere il nucleare, sebbene a determinate condizioni.

E tuttavia, sul nucleare ci sono ancora fortissime resistenze. Dopo la catastrofe che ebbe luogo a Chernobyl la notte del 26 aprile 1986, l’Europa ha costruito ben poche centrali nucleari. In Italia abbiamo chiuso del tutto con questa fonte energetica. Il che significa, fra le altre cose, che da quasi quarant’anni non si coltivano le necessarie professionalità.

Vincere le resistenze e colmare questo gap non sarà facile come mandar giù una compressa di iodio, diciamo così.

 

Come ce la caveremo in questa situazione?

Intanto, l’intervento dei governi sarà essenziale per evitare bollette energetiche e distributori di benzina e gasolio a prezzi esorbitanti: i rischi sociali legati a questo tema stanno aumentando di brutto, soprattutto in quelle famiglie dove, già prima della crisi, le bollette rappresentavano una grossa fetta di reddito disponibile.

In ogni caso, i modelli di business di alcune reti infrastrutturali di gas potrebbero dover evolvere: pensiamo, per esempio, a chi possiede/gestisce le infrastrutture per il transito del gas dalla Russia, che secondo le intenzioni dovrebbero essere sempre meno utilizzate.

L’Ue potrebbe portare avanti progetti sul gas decarbonizzato (idrogeno e biometano), che potrebbero stimolare gli investimenti in nuove infrastrutture più velocemente di quanto attualmente previsto. Insomma, per gli operatori delle reti di gas può aprirsi un nuovo scenario di opportunità. Tenendo conto, comunque, che la riconversione richiede costi e comporta rischi: avete presente il Titanic, quando all’ultimo provò a deviare la sua rotta per schivare l’iceberg? Ecco.

Non resta che confidare nel fatto che, come recita una frase attribuita al genio di Albert Einstein, “nelle difficoltà riposano le opportunità”. Volendo, anche d’investimento per i nostri piccoli portafogli.

 

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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    si potrebbe anche prendere in considerazione l’estrazione in Adriatico, dove ci sono pozzi perforati e inutilizzati

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