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Banca Mondiale in allarme: “Per molti Paesi sarà difficile evitare la recessione”

Prima la pandemia e i lockdown, che hanno di fatto congelato i consumi. Poi uno spiraglio di ripresa e subito lo scoppio del conflitto in Ucraina, che ha accentuato ulteriormente la fiammata inflazionistica già incipiente.

Insomma, non sorprende che l’economia globale non se la stia passando benissimo. L’ultima, in ordine di tempo, a metterlo nero su bianco è stata la Banca Mondiale, che lo scorso 7 giugno ha annunciato una riduzione delle stime di crescita globale per quest’anno: dal +4,1% indicato a gennaio al 2,9% (il 2021 si era chiuso con una crescita del 5,7%).

“La guerra in Ucraina, i blocchi in Cina, le interruzioni della catena di approvvigionamento e il rischio di stagflazione stanno martellando la crescita. Per molti Paesi la recessione sarà difficile da evitare”, ha detto il presidente dell’istituzione, David Malpass. “Ci aspettano probabilmente diversi anni di inflazione sopra la media e crescita al di sotto della media, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per le economie e basso e medio reddito”. È la stagflazione, un fenomeno che il mondo non vedeva dagli anni ‘70. E che – allora – aveva richiesto forti aumenti dei tassi di interesse nelle principali economie avanzate per essere “domato”.

 

C’è chi piange e chi festeggia

 

 

Va detto che le differenze tra Paesi e zone del mondo sono anche significative. L’area dell’Europa Centrale e Asia, che comprende l’Ucraina e la Russia, è quella più penalizzata – se a gennaio si prevedeva una crescita del 3% per il 2022, ora si stima una contrazione del 2,9%.

In particolare, il Pil dell’Ucraina dovrebbe contrarsi del 45% nel 2022, con un fortissimo aumento della povertà in tutto il Paese, mentre per l’economia russa è previsto un -8,9% quest’anno.

Al contrario, i Paesi produttori di petrolio beneficiano dell’aumento dei prezzi, tanto che aree come il Medio Oriente e il Nord Africa hanno visto migliorare le previsioni di crescita del Pil per il 2022 dal 4,4% di gennaio al 5,9%. La maggior parte della spinta economica della regione proviene – non a caso – da Stati produttori di petrolio come Arabia Saudita, Oman, Algeria, Iran, Iraq e Kuwait, un elenco che comprende quattro dei cinque membri fondatori dell’OPEC.

Per gli Stati Uniti è prevista invece una crescita di appena il 2,5% quest’anno e del 2,4% il prossimo, mentre il Pil della zona euro dovrebbe crescere del 2,5% nel 2022 e dell’1,9% nel 2023.

 

 

Il caso della Guyana

Non mancano, scorrendo i ritocchi apportati dalla Banca Mondiale, alcuni elementi curiosi. Prendiamo la Guyana, un Paese sulla costa atlantica settentrionale del Sudamerica caratterizzato da una fitta foresta pluviale. Ebbene, l’economia di questo paese – che sta costruendo un progetto petrolifero offshore da 10 miliardi di dollari insieme al colosso Exxon Mobile – dovrebbe veder raddoppiare le sue dimensioni entro la fine del 2023.

 

Il commercio ci salverà?

Se si concretizzassero le previsioni peggiori, ha precisato la Banca Mondiale, la crescita globale nei prossimi due anni potrebbe scendere “vicino allo zero”. Che fare dunque per evitarlo? L’invito dell’istituzione è quello di agire rapidamente per mitigare le conseguenze della guerra in Ucraina, aiutare i paesi a pagare cibo e carburante e accelerare la riduzione del debito. E, soprattutto, evitare restrizioni agli scambi commerciali, come il controllo dei prezzi e il divieto di esportazione.

“Sono necessari cambiamenti nella politica fiscale, monetaria, climatica e del debito per contrastare la cattiva allocazione del capitale e la disuguaglianza”, ha aggiunto Malpass.

 


 

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