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Brexit è (finalmente) realtà: ecco cos’è cambiato

Benvenuti nel mondo post Brexit. Dopo quattro anni e mezzo dal referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, le due parti si sono ridotte agli ultimi giorni utili per trovare un accordo, ma alla fine il tanto temuto “no deal” è stato scongiurato.

La vigilia di Natale, una settimana prima della scadenza dei termini, Londra e Bruxelles hanno formalizzato il divorzio, firmando un testo da 1.246 pagine in cui sono contenuti i dettagli dei rapporti futuri. Nonostante questo, le lunghissime trattative proseguiranno ancora, per sistemare alcune incognite rimaste in sospeso.

 

In ogni caso il momento è storico

Il Regno Unito ha ufficialmente lasciato l’UE dopo 47 anni. Il primo ministro inglese Boris Johnson ha esultato: “è un momento incredibile per il nostro Paese, il trampolino per il rilancio nazionale. Abbiamo la libertà nelle nostre mani e sta a noi utilizzarla al meglio”, ha detto.

In effetti Johnson ha mantenuto la sua promessa di portare a termine Brexit, senza tra l’altro cedere sui punti che riteneva cruciali. Ma è presto per cantare vittoria: resta infatti da capire quali saranno le conseguenze dell’accordo sul lungo termine – prime tra tutte quelle economiche. Ma cosa prevede l’accordo, nel dettaglio? Scopriamolo punto per punto.

 

Il nodo principale: no ai dazi

Partiamo dal punto più discusso, quello sui rapporti commerciali: in base al nuovo accordo, non saranno introdotti dazi – quindi non si dovrà pagare quando le merci attraverseranno i rispettivi confini – né quote – cioè non ci saranno limiti alle quantità di beni commerciati. Le merci potranno continuare a circolare liberamente.

L’accordo offrirà inoltre alle aziende britanniche ed europee un accesso preferenziale al mercato della controparte – “preferenziale” rispetto alle regole minime stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Tornano però i controlli doganali tra Gran Bretagna e UE, con tutta la burocrazia che ne consegue. Significa che i camion in transito sul confine britannico dovranno portare con sé licenze, dichiarazioni doganali e certificazioni che prima non erano necessari, con un rallentamento delle procedure di controllo alla frontiera e probabili ritardi. Per evitare il caos, la Gran Bretagna ha sospeso l’introduzione dei controlli sulle merci in arrivo dalla UE per sei mesi, mentre lato UE i controlli sui camion in arrivo dal Regno Unito sono già iniziati.

 

Il distacco dai regolamenti europei

La questione che stava più a cuore a Johnson però – e su cui alla fine l’ha avuta vinta – riguarda il recupero della sovranità legale per la Gran Bretagna. Significa che Londra potrà divergere dai regolamenti europei e che non dovrà adeguare le proprie leggi in sintonia con le mosse dell’UE. Bruxelles dal canto suo potrà imporre delle sanzioni, ma a regolare eventuali dispute saranno arbitri indipendenti e non più la Corte europea.

 

Pesca: al via un accordo transitorio di 5 anni

Sul fronte della pesca, una delle questioni rimaste aperte fino all’ultimo momento – di scarsa importanza economica, ma di grande valore simbolico e politico – Londra ha dovuto invece cedere qualcosa, almeno inizialmente.

La riduzione della pesca europea in acque britanniche è stata fissata infatti a un -25%, mentre la Gran Bretagna spingeva per un -80% e Bruxelles proponeva -18%. Ma si tratta di un accordo solo transitorio: le quote varranno per i prossimi cinque anni e mezzo, dopo di che saranno nuovamente adeguate in base all’esito di ulteriori negoziati.

 

 

L’Irlanda del Nord resta nel mercato unico

Un altro tassello importante riguarda il confine irlandese: alla fine, l’Irlanda del Nord resta parte del mercato unico e dell’unione doganale – quindi nell’orbita UE – per evitare il ritorno di un confine interno nell’isola (visto che il resto dell’Irlanda, lo ricordiamo, è una repubblica indipendente dal Regno Unito e fa parte a pieno titolo dell’UE).

Anche se il confine terrestre rimarrà aperto, per le merci che attraversano il mare d’Irlanda ci saranno procedure doganali. Di fatto, dal primo gennaio esiste una sorta di confine nelle acque irlandesi. L’obbligo di presentare una dichiarazione doganale e certificati sanitari per i prodotti che arrivano dalla Gran Bretagna è stato sospeso per tre mesi, ma i controlli scatteranno il primo aprile.

L’accordo punta anche a evitare la concorrenza sleale, fissando un livello minimo di standard ambientale, sociale e sui diritti dei lavoratori al di sotto del quale nessuna delle due parti potrà scendere.

 

Servizi finanziari fuori dai radar: attesa un po’ di volatilità

A sorpresa il settore della finanza – che ricopre un ruolo cruciale negli scambi tra UE e Gran Bretagna – sembra essere rimasto ai margini dell’accordo di “divorzio amichevole”.

Dal primo gennaio le società finanziarie britanniche hanno perso il passaporto europeo – e quindi l’accesso automatico al mercato unico: potranno operare in Europa attraverso lo stesso “regime di equivalenza” previsto per Paesi come Stati Uniti e Giappone. Le due parti hanno stabilito infatti che le nuove regole di accesso ai rispettivi mercati finanziari saranno decise unilateralmente dal Regno Unito e dall’Unione Europea.

La Banca d’Inghilterra da parte sua ha dichiarato di attendersi una certa volatilità sui mercati e interruzioni nella fornitura di servizi finanziari all’Unione Europea. Nella sua relazione semestrale sulla stabilità finanziaria, la BoE ha affermato che il settore finanziario è comunque preparato e che le banche britanniche sono in grado di assorbire fino a 200 miliardi di sterline di perdite.

Per il momento le Borse sembrano aver reagito bene: le piazze del Vecchio Continente hanno avviato la prima seduta di contrattazioni del 2021 con l’umore alto, complice – tra le altre cose – proprio l’accordo su Brexit raggiunto in extremis. Euforia a parte, bisognerà monitorare l’intonazione dei mercati nei prossimi mesi per capire il reale impatto dell’accordo.

Cosa cambia per i cittadini europei?

A partire dal primo gennaio, per chi vuole andare in Gran Bretagna non basta più la carta d’identità: serve il passaporto, con almeno sei mesi di validità residua. E negli aeroporti del Regno Unito smettono di funzionare le corsie preferenziali per i cittadini europei.

Non serve il visto per periodi inferiori a 90 giorni, ma chi ha intenzione di trasferirsi nel Regno Unito per studiare o lavorare dovrà ottenerlo con un sistema a punti che tende a sfavorire i lavoratori non qualificati. I cittadini europei ed extracomunitari ora verranno trattati allo stesso modo.

Il governo britannico, inoltre, non parteciperà più al programma di scambio Erasmus+ e ad altri programmi meno noti – come per esempio Galileo, il sistema di satelliti europeo che permette una maggiore precisione nell’utilizzo della tecnologia GPS.

Insomma, i cambiamenti ci saranno, eccome. E se da un lato le trattative infinite sembrano aver scoraggiato gli intenti separatisti di altri Paesi dell’Unione, dall’altro la Scozia ha già manifestato a più riprese il desiderio di tornare europea.

Nicola Sturgeon, leader del partito nazionalista SNP e primo ministro scozzese, conta sul previsto trionfo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento a maggio per chiedere un secondo referendum sull’indipendenza. Dal Regno Unito, però. Comunque vada, varrà la pena di rimanere sintonizzati.

 


Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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