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Cosa sta succedendo al prezzo del petrolio?

Verso la metà di aprile 2020, in piena pandemia, le quotazioni del petrolio erano finite addirittura sottozero (i future sul WTI sono arrivati a -37 dollari al barile). Ora i prezzi sono schizzati oltre i 60 dollari – mentre scriviamo, il Brent viaggia intorno ai 64 dollari, il WTI sui 60,7 – raggiungendo livelli che non si vedevano da più di un anno. La domanda sorge spontanea: cosa sta succedendo alle quotazioni dell’oro nero? E fin dove potrebbe arrivare questo rally?

La risposta dipende da diversi fattori che insieme – ma da direzioni diverse – spingono in alto i prezzi.

 

Un cane che si morde la coda

Tanto per cominciare, dal lato dell’offerta succede una cosa curiosa: le sempre più frequenti rotture del vortice polare – uno degli effetti del cambiamento climatico, di cui proprio l’industria petrolifera è tra i maggiori responsabili – creano ondate di gelo in grado di paralizzare interi settori, compreso quello della produzione di petrolio.

Sta capitando in Texas, uno Stato che da solo produce il 40% di tutto il petrolio USA (4,6 milioni di barili al giorno) e che può contare su 30 raffinerie. Ebbene, a causa del gelo è tutto fermo: pozzi, pale eoliche, raffinerie, forniture di gas. E quattro milioni di abitanti sono rimasti senza riscaldamento dopo i blackout elettrici dovuti all’impennata della domanda e al repentino calo dell’offerta. Tradotto: fa freddo, la produzione (e dunque l’offerta) si blocca, però proprio perché fa freddo la domanda aumenta. E i prezzi schizzano in alto.

Sempre sul fronte della produzione, un sostegno alla corsa dei prezzi arriva dall’azione dell’alleanza OPEC+, che con i suoi tagli alla produzione sta cercando di riequilibrare il mercato. In particolare, l’Arabia Saudita ha confermato l’impegno di ridurre la sua produzione di un milione di barili al giorno nei mesi di febbraio e marzo 2021. Ma ora gli occhi sono puntati sulla prossima riunione, in agenda il 4 marzo, per capire le future mosse di Riad.

A consolidare la propensione al rialzo dei prezzi contribuisce anche il ribasso del dollaro, visto che petrolio e biglietto verde tendono a muoversi in modo inversamente correlato.

 

 

La domanda beneficia del ritrovato ottimismo

Spostando lo sguardo sul versante della domanda, possiamo dire che anche il petrolio è stato travolto dall’euforia che ha dato nuova linfa ai mercati all’inizio del 2021, sulle ali dell’avvio della campagna vaccinale e del progressivo stabilizzarsi dei contagi di Covid.

Così, se nell’ultimo anno la pandemia e i lockdown generalizzati hanno fatto crollare la domanda spingendo i prezzi addirittura in territorio negativo, ora sembra tornato un certo ottimismo, sostenuto anche dalle politiche accomodanti delle banche centrali.

A tutto questo si aggiunge, negli Stati Uniti, il nuovo piano di stimoli fiscali da 1.900 miliardi di dollari proposto dal presidente Joe Biden. Si tratta di un corposo pacchetto di aiuti all’economia, che alimenta la fiamma della speranza in una ripresa rapida.

 

Il rally è destinato a durare?

Difficile dirlo – del resto è impossibile fare previsioni certe quando si parla di mercati. Ma c’è chi scommette in rialzi ancora più consistenti per l’oro nero.

Goldman Sachs e JP Morgan Chase – solo per citare due delle maggiori banche d’affari statunitensi – non escludono che, virus permettendo e al netto di altri imprevisti, il petrolio possa arrivare fino a 100 dollari al barile.

“Il sostegno sembra solido e l’idea diffusa è che il mercato petrolifero bruci rapidamente il rimanente surplus dovuto alla crisi, arrivando potenzialmente a una situazione più tirata più avanti nell’anno”, spiega la banca svizzera Julius Baer.

Il motivo? Secondo un analista di Goldman Sachs citato dal Financial Times, il punto è che, nonostante la corsa alle energie rinnovabili e i piani green varati da diversi Paesi, il mondo avrà ancora bisogno del petrolio, almeno per un po’. E questo perché i “comuni mortali”, cioè le persone con un reddito medio o medio basso, non guidano una Tesla ma, ben che vada, un Suv. Alimentato a benzina.

E i produttori, scrive Corriere.it, potrebbero trovarsi in difficoltà nel soddisfare questa domanda, perché – proprio in vista dell’avvento dell’energia pulita – hanno cancellato gli investimenti necessari a rimpiazzare i giacimenti dove la produzione declina. Quindi, di nuovo: domanda sostenuta più produzione in calo uguale aumento dei prezzi.

 

Naturalmente i rischi al ribasso non mancano

Per esempio, potrebbero esserci delle prese di beneficio: dopo un rialzo consistente, gli investitori potrebbero decidere di monetizzare i loro guadagni, provocando una discesa dei prezzi.

Resta poi la questione del delicato equilibrio tra domanda e offerta. L’OPEC ha da poco ridotto le stime sulla domanda del 2021 a 96,1 milioni di barili al giorno, mentre l’IEA (International Energy Agency) ha aumentato quelle sulla produzione per l’anno in corso. Anche se la domanda – precisa l’Agenzia – dovrebbe comunque rimanere superiore all’offerta per tutto il 2021.

Infine, c’è l’ormai nota incognita del virus, che con le sue varianti potrebbe rendere necessari nuovi lockdown. Con tutte le conseguenze del caso, anche sulle quotazioni del petrolio. Insomma, la strada dei rialzi sembra tracciata, ma gli ostacoli non mancano: la cautela è d’obbligo.

 


 

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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