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Euro sì, euro no: quanto ci costa la moneta unica?

“Muovere verso una compiuta unione monetaria dell’Europa è come mettere il carro davanti ai buoi. Uno shock importante provocherebbe una pressione insopportabile all’interno dell’unione, data la scarsa mobilità del lavoro, l’inadeguata redistribuzione fiscale e l’atteggiamento della BCE che vorrebbe probabilmente perseguire una politica monetaria restrittiva per mantenere l’euro forte quanto il dollaro.
Questa è certamente la ricetta per notevoli problemi futuri”.

Dominick Salvatore“The common unresolved problems within EMS and the EMU”, American Economic Review, vol. 87, n. 2, (Maggio 1997), pp. 224-226:

Questa che vi ho proposto è solo una delle tante critiche che illustri economisti hanno avanzato all’Unione Monetaria Europea (UME) per essersi dotata d’una moneta unica senza soddisfare i requisiti ritenuti significativi per essere considerata un’area valutaria ottimale (AVO).

Proviamo a vedere alcuni dei costi economici che un Paese deve sostenere al verificarsi di shock esterni che colpiscono in modo diverso i Paesi partecipanti a un’area valutaria comune, ritenuta non soddisfare i requisiti più significativi di ottimalità.

Ipotizziamo che a seguito di uno shock avverso (il caso Lehman Brothers può essere un esempio) in un certo periodo si registri una riduzione della domanda di merci italiane a favore di quelle tedesche: la situazione è di squilibrio della bilancia commerciale in quanto, a seguito dello shock, l’Italia registra un peggioramento delle esportazioni nette verso la Germania.

Quali sono i costi che deve sopportare l’Italia? Considerando il Paese isolatamente procediamo con un’analisi grafica:

squilibri euro

Legenda grafico

S = curva di offerta , D = curva di domanda. Le due curve sono in relazione al tasso di cambio reale bilaterale E*P/P* (definito come rapporto tra i prezzi dei due Paesi, tenendo conto del cambio nominale in questo caso quotato certo per incerto, il rapporto esprime la quantità di beni esteri necessari per acquistare una unità  di bene nazionale). La relazione è positiva per la curva di offerta e negativa per la domanda di beni del Paese considerato. La motivazione è abbastanza semplice: ad esempio se si verifica un apprezzamento del tasso di cambio reale dell’UME vuol dire che le merci europee perdono competitività rispetto alle merci estere. In altri termini, se il prezzo aumenta, a parità d’altre condizioni aumenta  la quantità offerta sul mercato, mentre invece la domanda si riduce (essendo i beni esteri divenuti più competitivi).

A seguito dello shock, la domanda di merci italiane si riduce  (cioè a parità di offerta, la curva di domanda si sposta verso il basso da D a D’). Poiché i prezzi non sono flessibili e il tasso di cambio è fisso l’economia si sposta dal punto A al punto C, cioè il PIL italiano si riduce e l’economia entra in recessione.

Essendo il cambo fisso, al fine di riportare l’economia in equilibrio (punto B), bisogna operare un taglio dei salari e quindi dei prezzi (in assenza di soluzioni alternative). Se il tasso di cambio fosse libero di deprezzarsi e/o i prezzi liberi di muoversi, l’economia si sposterebbe direttamente nella posizione di  equilibrio (punto B), seppur recessiva ma senza passare da C.

Ovviamente nell’altro Paese (la Germania) vi sarà una tendenza espansiva per effetto della maggiore domanda di beni tedeschi.

La teoria economica ci dice che, al fine di ristabilire l’originario livello di PIL nelle due economie, in una situazione di prezzi e salari  rigidi e con scarsa mobilità del lavoro (e in assenza di soluzioni alternative come ad esempio l’accentramento delle politiche fiscali a livello europeo), la Germania dovrebbe accettare un livello d’inflazione più alto rispetto al valore iniziale e una minore competitività delle proprie merci sui mercati internazionali. In questo caso l’Italia si troverebbe invece con prezzi più bassi rispetto alla situazione precedente lo shock.

Tuttavia, sembra che nell’euro zona la Germania  non abbia intenzione di accettare questa soluzione cooperativa che prevede un tasso d’inflazione maggiore. Anzi, in seguito alle politiche di austerity messe in campo dai Governi dei Paesi periferici (compresa l’Italia), le divergenze in termini di PIL sono aumentate, con il pericolo di amplificarsi ulteriormente(v. grafico).

uscire-euro-pil-italia-germania

Alcune considerazioni finali.

La soluzione di taglio dei salari e dei prezzi al fine di recuperare la competitività delle merci nazionali rispetto a quelle estere, mostra essere poco efficace ed estremamente costosa.

In assenza di una volontà di cooperazione e di coordinamento delle politiche economiche degli Stati, il costo in termini di disoccupazione è elevato. Inoltre, tale costo è ulteriormente gravato dalla situazione di bassa crescita economica delle economie periferiche.

Da quanto detto ed alla luce del grafico relativo alle due economie, tanto più cresceranno le  divergenze in termini di PIL, tanto più grossi saranno i problemi di aggiustamento e maggiore dovrà essere il comportamento cooperativo che il Paese in condizioni migliori (cioè la Germania) dovrà accettare.

A me sembra, tuttavia, che nell’euro zona alcuni passi sono stati fatti. Pochi però e spesso non nelle giusta direzione. Il cammino per rendere l’UME un’area valutaria ottimale è ancora lungo e non è detto che verrà perseguito fino in fondo…

E voi che ne pensate?

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uscire da euro

 

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Ultimi commenti
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    Quest’analisi è interessante ma anche molto teorica. Anche un bell’articolo di Fubini sul corriere di oggi riprende il tema della “cooperazione” che tu citi nel post. http://www.corriere.it/economia/13_maggio_07/tregua-germania-possibile-crescita_92763746-b6cf-11e2-8651-352f50bc2572.shtml L’articolo ricorda anche un punto fondamentale, l’italia deve avere il coraggio di affrontare delle riforme strutturali che ne risolvano i problemi cronici e che sarebbe semplicistico “dimenticarsi” di fare, solo intervenendo attraverso un’ipotetica svalutazione.

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      Cara Serena ho cercato di calare la teoria nella pratica…ricordo le lezioni del mio Professore Marcello De Cecco il quale durante la sua lezione magistrale che teneva al corso faceva vedere come in economia la Teoria deriva dalla pratica e viceversa; ovviamente puoi immaginare, rimanevo a bocca aperta! Lo dico perchè contrariamente a quello che si pensa la teoria è fortemente intrecciata con la pratica economica. Ritornando all’articolo, niente può essere considerato solo buono o solo cattivo e credo che chi pensa che la svalutazione risolverà tutti i nostri problemi si illude. Inoltre, sono d’accordo nel ritenere che esistono i c.d. fallimenti dello stato ma esistono anche i fallimenti del mercato che sono molto peggiori dei primi! con questo non voglio dire che bisogna disinteressarsi dei primi ma credo bisogna focalizzarsi fortemente sui secondi e non favorirli…leggerò l’articolo di Fubini che troverò sicuramnete interessante, grazie.

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    teoricamente ineccepibile, tecnicamente discutibile, calcolare il reale costo dell’euro per l’italia necessita di calcolare a quanto ammonta la potenza manufatturiera italiana, risiede tutto li, cioè quanta svlutazione può sopportare il sistema italia?

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      Due osservazioni su cui ti invito a riflettere poi parliamone se vuoi..:1] secondo la teoria della parità relativa dei poteri di acquisto (spesso confermata dalla pratica) il cambio nominale tende a recuperare quello che è il differenziale d’inflazione del Paese
      satellite rispetto al Paese core (per l’Italia, la Germania), 2] hai visto il divario di output tra noi e la Germania?

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    Prima della moneta unica si doveva fare la lingua unica.
    Se in Missisipi c’è disoccuppazione puoi sempre andare a lavorare in Texas. In Europa se in Italia c’è disoccupazione vai a lavorare un Germania (la nuova America come titolano oggi alcuni giornali), peccato che senza sapere il tedesco (che richiede decenni per scriverlo bene) vai in Germania a fare l’Italiano che spazza i gabinetti con la laurea.

    Ecco perché si chiama Unione Europea come l’U Repubbliche Socialiste Sovietiche e non Stati Uniti d’Europa.

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    Mobilità dei fattori, e bilancio comune in grado di assorbire shock asimmetrici. Questo sosteneva Mundell per render le aree valutarie (non ottimali) in grado di resistere. Basterebbe consultare le stime fatte su quanto debba esser il budget di un ipotetico Stato federale europeo per aprire immediatamente gli occhi, svegliarsi dal sogno (o incubo) e tornare alla realtà. Chi sano di mente può ritenere che la Germania possa trasferire al bilancio federale il 7-8% del proprio PIL? http://vocidallestero.blogspot.it/2013/05/sapir-quale-futuro-per-la-zona-euro.html

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      Ciao Francesco l’approccio tradizionale della Teoria delle AVO tra i i requisiti di ottimalità considera l’alta mobilità internazionale dei fattori, al fine di attutire una situazione di riduzione di reddito e consumo nella regione oggetto di deflusso di fattore lavoro. Semplicemente perchè l’alta mobilità del capitale permetterebbe di disporre di finanziamenti dall’esterno per poter consumare temporaneamente di più. Naturalmente sarebbero utili interventi di politica economica volti ad incentivare tali finanziamenti. Dico questo perchè mi viene da pensare che la mobilità internazionale del capitale potrebbe aggravare i problemi di sviluppo delle regioni arretrate (all’interno di un paese appartenente ad un’area valutaria NO AVO colpita da shock). Infatti, l’elevata mobilità del capitale combinata con una bassa mobilità internazionale del lavoro aggraverebbe gli squilibri regionali, semplicemente perchè al deflusso del fattore lavoro si assocerebbero i
      deflussi di capitale verso regioni più remunerative. Poi c’è anche la questione della convergenza dei tassi d’inflazione spiegata da M.Fleming…ma qui mi fermo per dare spazio a tuoi ulteriori commenti.ciao.

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