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USA fuori dagli accordi di Parigi: intervista ad Edoardo Croci

America esce da accordi di Parigi

Clima e riscaldamento globale: secondo il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si tratterebbe di una “bufala”. Gli Stati Uniti portano avanti la decisione di tirarsi fuori dagli accordi di Parigi sul clima, scelta che desta non poche preoccupazioni a livello internazionale.


Già preannunciata durante il G7 di Taormina, l’intenzione di uscire dagli accordi di Parigi sul clima è stata confermata dal presidente Donald Trump. Tra le ragioni a supporto della linea politica di Trump ci sarebbe l’ingente peso economico che le misure dettate dall’accordo apporterebbero all’industria americana. Trump ha addirittura definito l’incombere del riscaldamento globale come una “frode”.

L’atteggiamento politico degli Stati Uniti ha destato non poche preoccupazioni a livello internazionale: gli USA sono ancora un soggetto affidabile? In che modo il presidente Trump metterà in pratica questa decisione, dal momento che l’accordo prevede dei vincoli per i Paesi che vi hanno già aderito? Quanto conterà l’impegno dei singoli stati americani a portare avanti le misure per il miglioramento climatico? In merito a questi interrogativi ne abbiamo parlato con Edoardo Croci, docente all’Università Bocconi, direttore di ricerca allo IEFE e Presidente di MilanoSiMuove e della fondazione Ambiente Milano.

Il presidente Donald Trump ha confermato l’uscita degli USA dagli accordi sul cambiamento climatico di Parigi? Quali saranno le conseguenze economiche?

Cominciamo col dire che quello di Trump è un annuncio e per il momento sembra intenzionato ad uscire dal solo accordo di Parigi e non dalla Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici. Detto questo, ancora non è stato fatto nessun passo formale in tal senso anche perché l’accordo di Parigi, per esempio, prevede che nei primi 2 anni non si possa uscire dal patto, per cui Trump ha per ora solamente annunciato qualcosa che intende fare nel futuro. Dal mio punto di vista chi ci rimette sono gli USA: mentre il resto del mondo andrà avanti sulla strada dell’accordo di Parigi, è possibile che almeno in parte la politica americana invece non sia più rivolta a favorire la green economy come invece era stato fatto con Obama. Il vero problema quindi è proprio interno agli USA, tra industrie sporche e industrie pulite, dove può essere che Trump guardi con più interesse all’industria dei combustibili fossili rispetto a quella della green economy.

Quali sono a suo parere le ragioni che hanno spinto la Casa Bianca verso questa decisione?

Per prima cosa è il semplice mantenimento delle promesse elettorali. Nel discorso, di circa mezz’ora, che ha fatto per annunciare la sua decisione, Trump ha ribadito che i cinesi sarebbero favoriti dall’accordo di Parigi rispetto agli USA, ma è vero semmai il contrario. Con l’accordo di Parigi la Cina si è impegnata per la prima volta a difesa dell’ambiente con obiettivi quantitativi per ridurre le emissioni, e gli USA hanno sempre sostenuto che questa era la condizione essenziale per entrare in un accordo globale. La ragione per cui gli USA non avevano mai ratificato il protocollo di Kyoto era proprio legata alla mancanza di obblighi quantitativi.

Gli accordi prevedono che non sia possibile recedere prima di quattro anni dalla ratifica. Ci sono altre strade? Gli USA potrebbero non rispettare il vincolo? A livello pratico, cosa potrebbe succedere e cosa cambierà dal punto di vista del contenimento dei danni ambientali a livello globale?

Gli USA si sono impegnati a ridurre le emissioni del 26/28% entro il 2030. Al di là della formalizzazione di un’eventuale uscita, per far saltare tutto basta che il governo americano non adotti i piani e le misure previste per soddisfare gli obiettivi di lungo termine. Proprio perché i cosiddetti Intended Nationally Determined Contributions (INDC)sono degli impegni volontari che ogni Paese sottopone sulla base delle proprie capacità, Trump poteva semplicemente non implementare le promesse, invece ha deciso di fare un annuncio che ha una valenza più che altro politica.

L’impatto immediato è più che altro psicologico, ma i mercati azionari per ora non hanno reagito. Come mai secondo lei e cosa si aspetta in futuro su questo fronte?

L’impatto reale dell’azione di Trump è tutto da valutare, chissà se tra due anni uscirà davvero dall’accordo. Sarà probabilmente un impatto molto basso, perché gli USA sono uno stato federale per cui tutta una serie di stati a partire dalla California e molti stati del nord est hanno dichiarato che proseguiranno comunque una serie di politiche coerenti con l’accordo di Parigi. Ovviamente gli stati hanno un potere rilevante, ma così come una serie di grandi comuni americani, rappresentanti quasi la metà della popolazione americana, hanno detto che loro manterranno una serie di impegni nella logica dell’accordo e molte sono leve che hanno in mano i comuni. Anche una buona parte dell’industria americana ha detto che vuole comunque muoversi in questa direzione: già a Marrakech durante l’ultima COP, c’erano state diverse centinaia di imprese americane che avevano sottoscritto un appello a Trump, ancora non in carica, perché adempiesse quegli impegni. Si sono moltiplicate le imprese che andranno avanti con politiche di mitigazione climatica, indipendentemente da ciò che fa il governo americano. Bisogna fare qualche conto e questi conti li sta già facendo Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York e rappresentante del C40, per far si che gli impegni vengano mantenuti anche senza l’accordo del governo centrale.

Si aspetta una crescita dei titoli legati ai combustibili fossili? Quali prospettive invece per le aziende USA attive nel settore delle energie rinnovabili?

Gli USA negli ultimi anni sono diventati degli esportatori netti di petrolio e shale gas, per cui questo dipende più dall’andamento dei loro prezzi che dalle politiche nazionali americane. Soprattutto dipende anche dalla riduzione dei costi estrattivi per una serie di risorse che fino ad ora erano difficili da estrarre, quindi non mi aspetto che cambi qualcosa rispetto a dinamiche che dipendono da altri fattori. La vera domanda è se invece il settore delle rinnovabili, che ancora necessita alcune forme di incentivi, sarà un settore abbandonato da Trump oppure un settore su cui la dinamica economica (pur senza incentivi) riuscirà ad ottenere un forte progresso.

Anche a livello politico la mossa di Trump potrebbe avere delle ripercussioni, dal momento che gli Stati Uniti potrebbero diventare agli occhi dell’Europa – e non solo – un partner poco affidabile: cosa ne pensa?

Sicuramente Trump dimostra di essere, a livello internazionale, un soggetto poco affidabile dal momento in cui annuncia l’uscita da un accordo da cui per due anni non si può uscire, ecco perché si tratta di una mossa politica e provocatoria. Certamente conferma il fatto che in questo momento Trump guarda più a una politica nazionale che non tiene conto delle tradizionali alleanze transatlantiche che hanno caratterizzato la politica di tutti i suoi predecessori negli ultimi anni, sia repubblicani che democratici. Bisognerà vedere se alla fine il pragmatismo dell’uomo farà si che rispetto a questi annunci la strada sia diversa o no, ma questo lo si vedrà dai fatti perché al momento sembra tutto imprevedibile.


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Ultimo commento
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    Gradirei che Croci rispondesse a queste poche domande
    1) Indica che la Cina si è impegnata a ridurre le emissioni. Ma l’accordo prevede che avvenga dopo il 2030, fino ad allora sarà libera di aumentarle. Corretto?
    2) E’ vero che gli Usa, che non hanno aderito a Kyoto, hanno ottenuto risultati migliori rispetto a praticamente quasi tutti gli stati aderenti? E’ vero per esempio che la Germania ha aumentato negli ultimi due anni le emissioni pur aderendo sia a Kyoto e a Parigi? Su queste basi. si può dire che le probabilità che gli stati aderenti rispettino nei fatti, e non a chiacchiere, l’accordo siano pari a ZERO?
    3) E’ vero che la maggioranza della comunità scientifica indipendente non considera il riscaldamento globale di natura antropica (vale a dire causato dall’uomo)?
    4) E’ vero che 10 anni fa Al Gore rifiutò una scommessa con un noto scienziato che sosteneva che dopo 10 anni la temperatura non sarebbe aumentata? Ed è vero che, visto che ormai manca poco alla scadenza dell’eventuale scommessa, Al Gore ha fatto bene perché avrebbe perso?
    5) Se si sostiene che l’accordo di Parigi riduca il riscaldamento globale, è vero che gli stessi sostenitori ammettono che i suoi effetti sarebbero praticamente poco più che nulli?

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