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Portafogli a regola d’arte

Investire nell'arte, opportunità e rischi

L’oggetto d’arte può essere un valido alleato della diversificazione del portafoglio. Ma, come tutti gli investimenti, non va tanto d’accordo con l’improvvisazione e tende a dare tante più soddisfazioni quanto più ci si affida alla guida e ai consigli di chi ne sa.

Da tempo Goodwill Asset Management collabora con Dorian Cara, esperto d’arte che mette a disposizione del gestore svizzero – e di conseguenza del cliente – circa 25 anni di attività nel settore dell’arte, con un ampio ventaglio di conoscenze professionali e di relazioni, oltre a una serie di servizi fra i quali la consulenza legale e fiscale, l’assistenza alla negoziazione e le valutazioni economiche. “La collaborazione con Goodwill AM”, spiega, “nasce dall’idea condivisa di accogliere e soddisfare le diverse richieste del cliente, concepire e progettare le soluzioni più congeniali, raggiungere gli obiettivi insieme prefissati”. In questi mesi abbiamo raccolto un po’ di domande di chi ci segue e gliele abbiamo sottoposte: ecco le sue risposte.

Quale tipo di investitore dovrebbe rivolgersi al mercato dell’arte?

L’investitore ideale è aperto, intelligente e in grado di comprendere le volatilità e l’umore del mercato, non dimenticando che l’arte è un bene da godere e non solo da commercializzare. Forse è una visione un po’ romantica dell’investitore, che ben differenzio dal mero speculatore, ma certamente dà maggiore soddisfazione dal punto di vista della consulenza professionale a quegli art advisor che operano coscienziosamente da tempo in questo ambito.

C’è una cifra minima al di sotto della quale non ha molto senso avvicinarsi a questo mercato?

L’investimento in arte, dando uno sguardo alla media delle aggiudicazioni delle opere passate in asta negli ultimi anni, dovrebbe a parer mio non essere inferiore ai 15.000-20.000 euro, mirando soprattutto a quegli artisti che hanno già un mercato consolidato e dalle buone performance. Un consiglio spassionato è osservare anche i capolavori d’arte antica, investimento a lungo termine che si svaluta con difficoltà, e tra i quali in questo periodo si trovano occasioni interessantissime.

Tutto ciò premesso, come si evitano le cantonate?

Le cantonate si evitano se si seguono alcune regole, e ancor di più se ci si affida ai professionisti nelle diverse e numerose azioni da intraprendere, che sono un’alchimia densa di aspetti legali, fiscali, scientifici – analisi filologiche e di mercato e analisi documentarie e di titolarità del bene – contrattuali e persino, in alcuni ma non isolati casi, anche diplomatici.

L’essere affiancati e guidati da professionisti esperti e competenti che sanno leggere il mercato e districarsi fra le diverse maglie è aspetto imprescindibile per riuscire a fare un buon investimento che assicuri un rendimento. Essere realisti, saper ascoltare e seguire una propria strada, a parer mio, sono le regole fondamentali se si vuole investire in arte, e bene.

A proposito di aspetti fiscali: a quali obblighi è sottoposto l’investimento in arte in Italia?

La normativa fiscale italiana relativa all’investimento in arte si differenzia in due filoni, uno “statico”, che favorisce il collezionismo privato, e uno “dinamico”, relativo agli operatori del mercato, come gallerie, mercanti e antiquari.

La proprietà di opere d’arte da parte di privati non è soggetta ad alcuna imposizione di carattere patrimoniale e la cessione di oggetti artistici ad altri privati non è soggetta all’imposta sulla plusvalenza. Al contrario, per il mercato la normativa italiana considera la cessione dei beni come generatore di ricavi tassabili secondo le aliquote ordinarie, le più alte rispetto a quelle degli altri Paesi.

La vendita di opere d’arte da parte delle gallerie è soggetta all’IVA del 22%, la quota massima applicata in Europa. Se la vendita è realizzata dall’autore o dai suoi eredi, l’opera è soggetta ad aliquota IVA del 10%. L’importazione da Paesi extracomunitari è soggetta all’IVA del 10%, cui bisogna aggiungere i dazi doganali. Poi c’è la libera circolazione del bene culturale, riformata con il decreto Franceschini del maggio 2017, denominato “decreto Concorrenza”, che ha introdotto sostanziali quanto discutibili modifiche all’articolo 68 del Codice dei Beni Culturali.

Quali sono queste modifiche e perché “discutibili”?

Si è cercato di semplificare la normativa internazionale sulla circolazione dei beni culturali, superando quella risalente al 1909 e avvicinando così l’Italia alla normativa europea. Ma un paio di perplessità io le ho: vengono favoriti meno i privati e molto di più le case d’asta e i mercanti e c’è il rischio di dispersione e svendita del patrimonio artistico italiano, specie quello del XX secolo, che è quello che interessa al mercato in questo momento.

Qual è la differenza tra collezionista privato e mercante d’arte?

Secondo la dottrina e la giurisprudenza italiana, è collezionista chi acquista e vende opere d’arte per soddisfare un suo interesse, di norma ampliare la collezione di oggetti d’arte. Il mercante d’arte, invece, è chi investe professionalmente in oggetti d’arte per trarne un profitto attraverso la successiva rivendita sul mercato.

Secondo il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), se i guadagni conseguiti dal collezionista sono fiscalmente irrilevanti non possono essere tassati, posto però che egli agisca veramente in qualità di privato e non nell’ambito dell’esercizio di un’attività commerciale. In tutti gli altri casi, i guadagni sono assoggettati a IRPEF.

Negli ultimi anni il mercato artistico ha avuto una costante crescita, soprattutto relativamente alle cessioni di opere d’arte svolte tra privati tramite case d’asta. Questo tipo di collezionismo è stato supportato da una fiscalità nella sostanza favorevole. Ma bisogna fare attenzione: le autorità vigilano sulle trattative, specialmente quelle al di sopra di un certo importo, perché temono sempre che nascondano intenti fraudolenti. Per questo i collezionisti, vista la complessità della normativa tributaria, dovrebbero sempre valutare attentamente le eventuali conseguenze fiscali derivanti dalla gestione dei propri oggetti d’arte.

E torniamo al punto di partenza: come si sceglie il consulente giusto?

Sono diversi i professionisti nel settore dell’art advisory, molti in forze a istituti e fondazioni bancarie, altri indipendenti e dal riconosciuto curriculum e soprattutto serietà professionale, accreditata dal mercato dell’offerta consulenziale specializzata. Bisogna cercarli, ma ci sono, stando attenti a individuare chi non solo abbia specifiche competenze su come va il mercato, ma anche esperti conoscitori degli aspetti giuridici, fiscali, e soprattutto della storia dell’arte e degli artisti.


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