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Investimenti, la tassazione per chi non risiede in Italia

“E per i soggetti residenti all’estero, come funziona?”, ci chiese a fine luglio un lettore in coda a un nostro post in cui illustravamo i tre regimi fiscali del gestito, dell’amministrato e del dichiarativo1. Noi all’epoca ci dedicammo ai soli contribuenti residenti in Italia, promettendo un seguito a stretto giro.

In realtà ci abbiamo messo un po’ di più del previsto, ma alla fine eccoci.

Quindi, tornando alla domanda: come funziona la tassazione degli investimenti per le persone fisiche non residenti nel nostro Paese? E per una persona italiana che vuole investire al di fuori dei confini della Penisola?

Di seguito tutte le principali indicazioni, raccolte con l’ausilio di Alessandro Balbo di Vinadio e Giuseppe Desiderato dello Studio BGR2.

 

Residenti e non residenti: che differenza c’è?

Prima di addentrarci nel merito, può essere utile precisare che i contribuenti persone fisiche sono considerati non residenti a livello fiscale nel momento in cui:

  • non sono iscritti nelle anagrafi comunali dei residenti per la maggior parte del periodo d’imposta, ossia per 183 giorni almeno (184 negli anni bisestili)
  • non hanno domicilio né residenza nel territorio dello Stato italiano.

In assenza anche solo di una di queste condizioni, i contribuenti vengono considerati residenti dall’Amministrazione Finanziaria.

 

La tassazione per chi non risiede in Italia

La volta scorsa abbiamo visto come gli investitori residenti in Italia possano, per ogni investimento, optare per uno specifico regime fiscale: amministrato, gestito o dichiarativo.

Diverso è il discorso per i non residenti che investono in Italia. Un non residente, di default, entra infatti nel regime amministrato, con le aliquote e le compensazioni previste per questo tipo di regime. Attenzione: di default, ma non obbligatoriamente. Se infatti l’investitore persona fisica non residente volesse fare una scelta diversa, optando per il gestito o per il dichiarativo, può richiederlo, ma prima che inizi il rapporto.

Esempio. Il signor Rossi, non residente in Italia, entra in banca e dice: voglio aprire un conto per effettuare investimenti. La banca gli fa presente che è automaticamente nel regime amministrato, a meno che non voglia entrare in un altro regime. Ed è qui che si apre la possibilità di scelta.

Se sceglie il regime dichiarativo, in moltissimi casi il soggetto intermediario non applicherà alcun tipo di ritenuta, purché si sia residenti in un Paese White List, ovvero uno di quelli inclusi nell’elenco riportato dal decreto ministeriale attualmente in vigore3.

 

 

A proposito di Paesi White List (e non)

Un secondo punto meritevole d’attenzione consiste proprio nella distinzione tra persona fisica residente in un Paese incluso nella White List e persona fisica residente in un Paese non White List.

  • Nel primo caso, in riferimento a moltissimi strumenti c’è la possibilità che l’intermediario italiano non applichi alcun tipo di ritenuta, quindi tutto ciò che l’investitore incassa come redditi di capitale o redditi diversi spesso non è tassato nel Paese di corresponsione: è quel che succede, per esempio, con le obbligazioni.
  • Se, al contrario, è residente in un Paese non White List, allora si applicano le ritenute a titolo d’imposta o le imposte sostitutive.

Tuttavia, per evitare la doppia tassazione dei redditi o, come succedeva un tempo, che addirittura non ci sia alcuna tassazione, in genere con i Paesi non White List si procede alla stipula di accordi convenzionali.

Quel che può fare il contribuente, quindi, è verificare se la Convenzione contro le doppie imposizioni contempla la possibilità di applicare ai dividendi e/o agli interessi l’aliquota del Paese di residenza e non quella italiana, che tipicamente è del 26% (12,5% per gli interessi derivanti dai titoli di Stato).

Se esiste questa possibilità e se l’aliquota del Paese di residenza è più vantaggiosa, allora il contribuente può applicarla al posto di quella italiana.

 

E i residenti in Italia che investono all’estero?

Se un italiano vuole investire all’estero, per esempio aprendo un conto in una banca svizzera? In questo caso risulta obbligatorio applicare il regime dichiarativo. In altre parole, il soggetto dovrà indicare i redditi percepiti direttamente nella sua dichiarazione e in aggiunta avrà l’obbligo di riportare nel quadro RW di tale modello le consistenze degli investimenti detenuti all’estero.

“Ai fini del corretto adempimento dell’obbligo di compilazione del quadro RW”, ci spiegano i due esperti professionisti dello Studio BGR, “i soggetti di cui all’articolo 4 del decreto legge 167/19904 devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta”. Un obbligo che sussiste “anche nell’ipotesi in cui il contribuente nel corso del periodo d’imposta abbia totalmente disinvestito”. Per intenderci: vanno dichiarate anche quelle attività detenute all’estero per un solo giorno.

Inoltre, abbiamo che:

  • sugli strumenti finanziari si paga la corrispondente dell’imposta di bollo, con aliquota dello 0,2%, solo che in riferimento agli investimenti all’estero l’imposta si chiama IVAFE;
  • sui conti correnti, invece, si applica la stessa imposta di bollo applicata in Italia: quindi 34 euro all’anno se si superano i 5.000 euro di giacenza media.

 

Sanzioni e altri dettagli molto importanti

Insomma, nel caso non si fosse capito: ai residenti in Italia che investono all’estero si applicano le regole italiane e tutto va in dichiarazione. Ma attenzione: se si investe in titoli di società straniere, bisogna tener conto che i dividendi possono scontare già la tassazione del Paese estero; ne consegue che dalla tassazione in Italia del dividendo si può scomputare l’imposta già pagata all’estero.

E fate un favore a voi stessi: non crediate nemmeno per un secondo che gli obblighi sopra illustrati siano da prendere con leggerezza. Basti pensare che:

  • in caso di omessa o errata compilazione del quadro RW sugli investimenti e le attività detenute in Paesi White List, le sanzioni vanno dal 3% al 15% dell’importo che si sarebbe dovuto riportare;
  • in caso di omessa o errata compilazione del quadro RW sugli investimenti e le attività detenute in Paesi Black List, si va dal 6% al 30% dell’importo che si sarebbe dovuto riportare.

Chiudiamo con un’eccezione alla regola del “tutto deve categoricamente andare in dichiarazione”: chi investe all’estero può non riportare le varie tipologie di reddito in dichiarazione ed essere escluso dagli obblighi di monitoraggio fiscale purché gli asset esteri vengano affidati a un intermediario residente – per esempio una società fiduciaria – con il compito, fra l’altro, di gestire anche i relativi redditi e flussi finanziari.

In questo caso, la fiduciaria si comporta come l’intermediario italiano operando da sostituto d’imposta, sul modello del regime amministrato.

 



1 – Amministrato, gestito e dichiarativo: i tre regimi fiscali
2 – Studio BGR. Le info utili che potete trovare in questo post sono merito di Alessandro Balbo di Vinadio e Giuseppe Desiderato. Viceversa, per le eventuali sviste rivolgetevi all’autrice. E inviateci pure segnalazioni e/o richieste di chiarimento o approfondimento, a noi gradite come sempre.
3 – DECRETO 23 marzo 2017, fonte: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
4 – Decreto-legge del 28/06/1990 n. 167, fonte: Agenzia delle Entrate

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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