I fatti salienti della settimana
Alla fine, Trump ha firmato. Giovedì 8 marzo il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha firmato il documento che dà l’ok ai dazi del 25% per l’import di acciaio e del 10% per chi compra alluminio all’estero. Con qualche nota di flessibilità per quei Paesi disposti a trattare, per esempio Canada e Messico (con cui l’amministrazione Trump sta rinegoziando il North American Free Trade Agreement, meglio noto come NAFTA). Rimane aperto quindi uno spiraglio per evitare ritorsioni e guerre commerciali.
Meeting antinucleare (e speriamo bene). Trump ha ricevuto una lettera dal dittatore nord coreano Kim Jong-un (prudentemente consegnata a mano da rappresentanti della Corea del Sud, pare), che lo ha invitato a un incontro per discutere della denuclearizzazione della penisola coreana, impegnandosi a sospendere i test nucleari e missilistici. E Trump, per tutta risposta, si è detto disponibile a un faccia a faccia entro maggio. Ma tempi e luogo esatti del meeting sono ancora da definire.
Il dopo voto in Italia. Come sono andate le elezioni italiane di domenica 4 marzo lo sappiamo ormai tutti. Ora la palla è in mano a partiti e coalizioni (in particolare al Movimento 5 Stelle, primo in assoluto, e alla Lega, prima nella coalizione di centrodestra), che devono chiarirsi le idee sulle possibili alleanze per raggiungere una maggioranza parlamentare in grado di sostenere il nuovo governo. Prossimo appuntamento il 23 marzo, quando verranno eletti i presidenti di Camera e Senato.
Così parlarono le agenzie di rating. I risultati delle elezioni politiche non dovrebbero avere impatti immediati sui rating dell’Italia, ha detto S&P Global Ratings. Più critica Fitch, Moody’s così così. A margine segnaliamo che Credit Suisse ha ritenuto di dover tagliare a “underweight”, sottopesare, la sua valutazione dell’azionario italiano.
Tassi invariati e crescita confermata. Giovedì 8 marzo la Banca Centrale Europea, come previsto, ha lasciato invariati i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale (rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al -0,40%) e le linee guida sulla politica monetaria.
Modificata invece la comunicazione sul quantitative easing: via il riferimento a un eventuale incremento del programma di acquisti straordinari se le prospettive diventano meno favorevoli. Una conferma indiretta che in Europa la ripresa si fa sempre più solida.
Nessun accordo su Brexit fino al prossimo anno. Secondo quanto riporta Bloomberg, i funzionari britannici si aspettano di concludere un accordo sulla Brexit non prima di gennaio 2019. Il capo negoziatore per l’Unione Europea Michel Barnier ha più volte ripetuto che vorrebbe un accordo entro ottobre, in modo che il Parlamento Europeo e quello del Regno Unito abbiano abbastanza tempo per approvarlo, mentre il segretario alla Brexit David Davis ha già detto pubblicamente che il calendario potrebbe slittare un po’.
Cina più severa sul deficit. La Cina ha ridotto, per la prima volta dal 2012, il suo obiettivo di deficit di bilancio e ha fissato un obiettivo di crescita del 6,5% circa. L’obiettivo di disavanzo – reso noto lunedì 5 marzo quando il premier Li Keqiang ha consegnato il suo rapporto annuale al Congresso Nazionale del Popolo a Pechino – è stato rivisto al 2,6% del Prodotto Interno Lordo dal precedente 3%.
Grafico della settimana
Il ritorno del dollaro debole. Mentre tutti ci pensano e si interrogano, noi notiamo che, di fatto, una prima “vittima” del neoprotezionismo USA c’è già: è il dollaro, che dall’insediamento del presidente Trump (gennaio 2017) si è indebolito del 10% contro la maggior parte delle altre valute per effetto della “politica del dollaro debole”. Una politica niente affatto nuova: nel 1985, con gli accordi del Plaza, si intraprese una linea simile, poi modificata nel aprile 1995, quando si optò per un rafforzamento della divisa americana.
Come si sono mossi i mercati
Investitori in ansia per i dazi (ma felici per Kim). Le Borse mondiali hanno pressoché ignorato le elezioni italiane, mentre sono state un po’ “sballottate” dai dazi USA. In Asia, la notizia dell’invito rivolto a Trump dal leader nord coreano Kim Jong-un ha alimentato la propensione al rischio (e quindi ha fatto bene all’azionario) e attenuato di molto le preoccupazioni per la minaccia nucleare nel nord est asiatico.
Spread sotto i livelli preelettorali. Anche lo spread non ha risentito, questa settimana, del post voto in Italia: lunedì 5 marzo il rendimento del BTp decennale era di appena lo 0,02% più alto rispetto a una settimana prima e il differenziale tra BTp a 10 anni e decennale tedesco risultava addirittura più basso della media storica a cinque anni e a un anno, peraltro in modo non statisticamente significativo. La settimana si è avviata alla chiusura con lo spread tornato addirittura sotto i livelli preelettorali, sui 126 punti.
Euro e dollaro come venerdì scorso. L’euro ha vissuto la settimana nell’attesa delle novità dalla riunione del consiglio direttivo della BCE, mentre il dollaro si è deprezzato per i timori di un’imminente guerra commerciale, arrestando la discesa dopo gli ultimi dati macro positivi. Venerdì il cambio era attorno a quota 1,23. Da segnalare lo yen, che è andato giù sulle notizie del vertice tra i leader di Stati Uniti e Corea del Nord.
Scorte USA in aumento. WTI e Brent chiudono la settimana intorno ai 64 dollari al barile. Unica nota le scorte di greggio negli USA, che nei sette giorni al 2 marzo scorso sono salite di circa 2,4 milioni di barili contro le attese di un incremento di 2,3 milioni.
In agenda
Ed ecco alcuni dei principali dati macroeconomici che saranno pubblicati nel corso della prossima settimana (fonte: Bloomberg).
Europa – Produzione industriale a gennaio, occupazione nel quarto trimestre 2017 (rispetto al trimestre precedente e in confronto allo stesso periodo dell’anno prima), immatricolazioni di nuove auto e infine il Consumer Price Index, core e non, a febbraio: queste alcune delle notizie macroeconomiche che arriveranno in settimana.
Italia – Il 14 marzo in calendario c’è il tasso di disoccupazione a fine 2017: gli operatori si aspettano un 10,9%, in lieve calo rispetto all’11,2% della rilevazione precedente. Attese anche le vendite al dettaglio, con la variazione mensile e annuale a gennaio, mentre il 15 marzo fari puntati sul debito pubblico (pari a 2.256,1 miliardi di euro secondo la rilevazione precedente). Il 16, infine, è la volta dell’indice dei prezzi al consumo.
Stati Uniti – Il CPI mensile (anche ex cibo ed energia), il sentiment dell’Università del Michigan (che dà conto della fiducia dei consumatori verso l’economia), la produzione industriale, il Producer Price Index (riferito alla domanda finale), l’Empire Manufacturing (indice che riflette lo stato d’animo dei dirigenti delle imprese manifatturiere), il Philadelphia Fed Business (che sintetizza le sensazioni delle imprese manifatturiere) e il Monthly Budget Statement sono tra gli appuntamenti macroeconomici della prossima settimana.