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HomeECONOMIA E MERCATICOMMENTO AL MERCATOSintesi del 2020, l’anno da dimenticare che tutti ricorderemo

Sintesi del 2020, l’anno da dimenticare che tutti ricorderemo

L’anno bisesto e funesto, l’anno “da dimenticare” per antonomasia: finalmente, il 2020 volge al termine. Ma siccome è l’anno che tutti noi ricorderemo e che racconteremo ai nostri nipoti e a chiunque avrà voglia di ascoltarci (tipo la Rose anziana in “Titanic”, avete presente?), ecco che ci piace proporvene una sintesi, un “abc” breve per quanto possibile. Pronti? Via.

A come AMERICA

Il 2020 è stato l’anno delle presidenziali USA. In principio il presidente in carica Donald Trump sembrava il favorito, anche per l’assenza di una chiara controparte dem. L’arena dei potenziali candidati democratici alla presidenza è stata affollata fino ad aprile quando, sullo sfondo delle polemiche per la gestione della crisi pandemica negli USA, Joe Biden si è imposto come sfidante di Trump.

Si è arrivati a novembre dopo altri mesi di campagna elettorale incandescente all’insegna della crisi sanitaria, sociale ed economica innescata dal SARS-Cov-2. Proprio a causa della pandemia, il ricorso al voto postale è stato massiccio. La vittoria è andata allo sfidante dem, con circa 7 milioni di voti in più rispetto a Trump e un totale di 306 “electoral votes”.

Una vittoria contestatissima da Trump e dal suo entourage: nel momento in cui scriviamo, il presidente uscente ancora parla di vastissimi brogli, un’accusa che finora non ha trovato il minimo riscontro ma che ha acceso – e tiene accesi – gli animi dei Trumpublican, i non pochi repubblicani che sostengono Trump. Al 46esimo presidente USA Joe Biden il compito non facile – fra gli altri delicatissimi dossier, primo tra tutti il rapporto con la Cina – di ricucire la spaccatura con questa parte non certo marginale dell’anima americana.

 

B come BREXIT

Noi a febbraio ve l’avevamo detto: la vera Brexit s’ha da fare1. Ma ripercorriamo velocemente l’ennesimo anno del lungo addio tra Londra e Bruxelles, sancito, lo ricordiamo, da un referendum datato 23 giugno 2016.

Venerdì 31 gennaio, alle 23:00 ora di Londra, il Regno Unito ha ufficialmente cessato di essere uno Stato membro dell’Unione Europea e dell’Euratom. Divorzio, finalmente? No, separazione: il primo febbraio, infatti, ha preso il via il previsto periodo di transizione, il cui termine è fissato per il 31 dicembre 2020 (salvo proroghe dell’ultimissima ora).

Fino al 31 dicembre normativa e procedure UE in materia di libera circolazione di persone, servizi, capitali e merci resteranno vigenti nel Regno Unito. Sarà solo dopo il giorno 31 che il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea: dal quel momento in poi, la circolazione delle merci tra Regno Unito e UE verrà considerata commercio con un Paese terzo.
Tale commercio avverrà:

  • secondo le regole della World Trade Organization, se UK e UE non riusciranno a trovare un’intesa last minute su un altro set di norme e procedure;
  • secondo uno specifico Accordo di Libero Scambio UK-UE.

E proprio su questo Accordo di Libero Scambio le due parti hanno dovuto lavorare nei mesi scorsi. Il 2020, quindi, è stato l’ennesimo anno di negoziati, funestato dalla pandemia di Covid-19 di cui a febbraio non potevamo ancora immaginare la portata.

Come si conclude il 2020? Mentre scriviamo sappiamo che c’è stata l’ennesima telefonata fra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il primo ministro inglese Boris Johnson, nel tentativo di imprimere una svolta ai negoziati: il nodo principale riguarda ancora l’accesso dei pescatori continentali alle acque britanniche.

 

C come COVID

Un virus “cugino” di quelli che anni fa provocarono la pandemia di SARS e MERS. Il focolaio in Cina, nella città di Wuhan, 11 milioni di abitanti. La possibile diffusione nel mondo, che a inizio anno pareva un’ipotesi romanzesca, alla fine è diventata una realtà appena meno catastrofica di quelle raccontate nei film e nei libri. A fine anno si contano circa 78 milioni di casi e oltre 1,7 milioni di morti.

In Italia il primo caso accertato è datato 21 febbraio. È la data spartiacque, quella da cui ha tratto origine tutta una serie di chiusure e restrizioni – zone rosse, serrande abbassate, lavoro e didattica a distanza – che sono culminate a marzo in un lockdown totale di due mesi. Lockdown che ha messo a durissima prova aziende e lavoratori, più o meno in tutti i settori. In autunno, la seconda ondata. Le ripercussioni sull’economia – in Italia ma non solo – sono pesantissime. Occorre fare qualcosa: occorre che arrivino i nostri. E in fretta.
 

F come FONDO (per la ripresa)

Chi sono i nostri? Due, essenzialmente: i governi e le banche centrali. Delle banche centrali parleremo nel prossimo paragrafo. I governi, a ogni longitudine e latitudine, non hanno potuto far altro che puntare tutto sulla spesa pubblica – anche in deficit – per indennizzare i tanti, tra imprese e lavoratori autonomi e non, pesantemente penalizzati dagli stop imposti dal Covid-19. Naturalmente, ognuno secondo le proprie possibilità: è chiaro che uno Stato fino all’altro ieri rigorosissimo come la Germania ha avuto – e ha – spazi di manovra che l’Italia dal suo 135% di rapporto debito/PIL (160% nel 2021) può solamente invidiare.

Non solo governi nazionali: nel Vecchio Continente è scesa in campo anche la Commissione Europea. Tra le varie misure proposte e poi approvate, Bruxelles ha prima ipotizzato (ad aprile) e poi approvato (a luglio) un fondo per la ripresa, anche noto come Recovery Fund, rinominato infine Next Generation EU, che dal 2021 investirà nel rilancio economico 750 miliardi di euro tra prestiti e sussidi. Di questi, 209 arriveranno all’Italia2.

Nota a margine: il 2020 è stato anche l’anno della riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Una riforma nata sostanzialmente dall’esigenza di fornire al MES un’architettura istituzionale e non più intergovernativa. Due le linee di credito previste, a seconda della solidità dei dati economici dello Stato che ne fa richiesta3.

 

L come LAGARDE

S’era partiti tutti – chi più chi meno – dall’intento di normalizzare la politica monetaria dopo anni di Quantitative Easing (che alla lunga ha un costo). Ma la pandemia ha costretto tutti ad accantonare quell’intento.

Prendiamo la presidente della BCE Christine Lagarde. Dopo la conferenza stampa del 12 marzo era finita nel mirino per aver dichiarato che non è compito della BCE ridurre gli spread (“not here to close spreads”). Correggendo la rotta, la Banca Centrale Europea ha in seguito:

  • messo in campo il PEPP, Pandemic Emergency Purchase Programme;
  • varato un nuovo Quantitative Easing;
  • tagliato i tassi sulle TLTRO3, le maxi-aste di liquidità, per il periodo fra giugno 2020 e giugno 2021;
  • lanciato una nuova serie di operazioni di rifinanziamento per l’emergenza pandemica chiamate PELTRO (Pandemic Emergency Longer-Term Refinancing Operations);
  • aumentato le dimensioni del PEPP.

Interventi analoghi sono stati varati dalle altre banche centrali: People’s Bank of China, Federal Reserve, Bank of Japan e Bank of England fra tutte, con la Banca d’Inghilterra chiamata a monitorare anche il non semplice dossier Brexit.

E la vigilanza sull’inflazione? Può attendere, per ora.

 

 

M come MERCATI

Stante tutto quanto finora detto, non stupirà il rinnovato appeal dei beni rifugio. Per dire: l’oro ha iniziato l’anno sui 1.500 dollari l’oncia, per poi salire fino ai 2.000 dei primi di agosto e ripiegare parzialmente fino ai 1.800 circa di fine anno.

All’inizio di questa fuga ai beni rifugio hanno beneficiato anche le emissioni governative dei Paesi più virtuosi, fra i quali la Germania: a fine marzo, la differenza di rendimento tra obbligazioni europee Investment Grade e Bund appariva vicina ai massimi da nove anni. Poi il tema per gli investitori è diventato scovare qualche rendimento soddisfacente nell’obbligazionario governativo, stante il super attivismo delle banche centrali.

Perfino il rendimento del BTp, con l’Italia che al minimo soffiar di crisi finisce nel mirino perché considerata l’anello debole della catena europea, si è contenuto, consentendo allo spread sul Bund tedesco di posizionarsi poco sopra i 110 punti base a fine anno. Le Borse sono state sull’ottovolante più o meno tutto l’anno, oscillando vertiginosamente tra cali paurosi e rialzi da record. Nel 2020 riflettori puntati anche sul cambio euro/dollaro, con il biglietto verde che ha continuato a deprezzarsi portandosi sopra l’1,20 per la prima volta in due anni.

 

P come PETROLIO

L’anno è iniziato con il Brent a 66 dollari a barile e il WTI a 61. Poi è esplosa la crisi pandemica e c’è stato anche un momento, ad aprile, in cui il WTI è sceso sotto lo zero per la prima volta in assoluto, principalmente per l’eccesso di scorte dovuto al crollo della domanda.

Ora il 2020 si avvia a chiusura con un lieve recupero delle quotazioni dei due benchmark, in scia all’accordo faticosamente raggiunto in seno all’OPEC+ sulle forniture al mercato a partire da gennaio e all’annuncio delle imminenti campagne di vaccinazione anti-Covid. Ma i nervi dei Paesi produttori restano tesi e i punti di vista sulle forniture alquanto divergenti. Almeno per tutto il primo trimestre 2021 OPEC+ si riunirà una volta al mese, per valutare il da farsi.

 

R come RATING

L’agenzia di rating Fitch ha ridotto il giudizio sull’affidabilità del debito pubblico italiano a BBB-, un solo gradino sopra il livello “junk”, spazzatura, mentre Moody’s ha deciso di lasciare il nostro merito creditizio invariato, considerata la natura “temporanea” della crisi. S&P Global Ratings ha confermato il rating BBB.

 

Cosa prevede l’agenda di gennaio

Il 4 gennaio si riunisce OPEC+. Il 5 lo Stato della Georgia (USA) vota per assegnare due seggi del Senato, assegnazione da cui potrebbe dipendere il ribaltamento della maggioranza in quell’ala del Congresso, attualmente a trazione repubblicana: cosa che semplificherebbe il lavoro del presidente Biden.

Il 16 gennaio la CDU eleggerà il suo nuovo leader, che succederà ad Angela Merkel. Il 20, Inauguration Day negli Stati Uniti, con insediamento del nuovo presidente alla Casa Bianca. Il 21 gennaio si riunisce la Fed, il 27 la BCE.

Business as usual? Lo scopriremo.

 



1 – La vera Brexit s’ha ancora da fare
2 – Recovery Fund, si parte: quali sono le prossime tappe?
3 – Mes sì o Mes no: ecco cos’è il Meccanismo della discordia

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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