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Bad banks, chi sono e a cosa servono le banche “cattive”

Quanndio una banca può considerarsi "cattiva" e quindi bad bank?

Ne sentiamo parlare da anni. E ne abbiamo sentito parlare di nuovo nelle ultime settimane in riferimento a Deutsche Bank. Chi, come la sottoscritta, è appassionato di medical drama può immaginarsele come piatti chirurgici che raccolgono masse maligne rimosse da corpi altrimenti sani.

Sono le bad banks, le “banche cattive”. Così chiamate non perché gestite da pessimi banchieri (anzi, in molti casi la guida è affidata ai talenti migliori e più brillanti del settore), ma perché sono entità create per far sì che una banca che si è messa in pancia finanziamenti o investimenti rischiosi possa isolare, rimuovere e spostare altrove le attività problematiche, proteggendo il suo core business e rassicurando gli investitori.

A questo tema ha dedicato un interessante approfondimento Quartz Obsession, la newsletter della testata online Quartz1, di cui qui in redazione siamo grandi fan.

Ve ne proponiamo una sintesi.

 

Cos’è, e a cosa serve, la bad bank

Quando una banca è piena di crediti deteriorati e/o di partecipazioni, titoli o altri prodotti finanziari che hanno perduto molto del loro valore iniziale (magari perché inizialmente sopravvalutati), può succedere che gli investitori comincino a interrogarsi sull’opportunità di investire o di restare investiti nelle azioni o nelle obbligazioni di quella banca.

Per non menzionare la diffidenza che inizia a diffondersi fra le altre banche, quelle che a loro volta dovrebbero concederle prestiti.

La banca entra così in un circolo vizioso: è vulnerabile per via dei crediti e/o dei titoli e prodotti di bassa qualità, ma non può finanziarsi in alcun modo. Il che rende il suo collasso una probabilità reale e concreta.

Ma interrompere il circolo vizioso si può: ed è esattamente qui che entra in gioco la bad bank. Tutto quanto ha pesato sulla reputazione della banca viene isolato e trasferito in una nuova entità, che è appunto la “banca cattiva”. Liberata dall’ingombro, la “banca-madre” può attirare di nuovo investitori e finanziamenti e andare avanti con la sua esistenza.

Se poi gli asset isolati e rimossi nella bad bank si rivelano non così brutti come li si dipingeva, possono addirittura divenire un’ulteriore risorsa per la “banca-madre” nel momento in cui arrivano a maturazione o vengono venduti. Un esempio? Nel 2014 Royal Bank of Scotland ha ricavato un po’ di soldini dalla sua banca problematica dopo che le perdite si sono rivelate meno gravi del previsto.

 

 

Bad bank: si può fare il bis?

Certamente. Deutsche Bank ne è la prova (anche se nel caso più recente il colosso bancario tedesco preferisce parlare di CRU, ovvero Capital Release Unit). A dare la notizia della nuova bad bank è stato, verso metà giugno, il Financial Times, che ha citato fonti anonime vicine al dossier. Per l’istituto bancario tedesco si tratta di un ulteriore passo in avanti nel riposizionamento strategico sui servizi e la gestione patrimoniale.

Già nel 2012 Deutsche Bank aveva creato una bad bank, cosa che l’ha resa più forte ma che, ovviamente, ha anche comportato una serie di costi (e di tagli degli stessi: per esempio, massicci tagli al personale).

D’altra parte, la storia delle band bank è come minimo trentennale: pioniera è stata Mellon Bank nel 1988, ma la vera pandemia è iniziata vent’anni più tardi con il fallimento di Lehman Brothers, avvenuto nel settembre del 2008.

Attenzione: la bad bank 2019 di Deutsche Bank è la seconda, ma non la maggiore. Neanche sommandone il valore con quello dell’operazione del 2012, come mostra il grafico che riportiamo qui di seguito (fonte: Quartz Obsession).

 

Bad Banks | amCharts

 

Bravi banchieri per banche cattive

“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, recita la frase non fatta ma strafatta. Nel caso delle bad bank, non è un luogo comune ma una regola assoluta. D’altro canto, più rognosa è la massa da rimuovere, più bravi devono essere i chirurghi e i tecnici chiamati a maneggiarla.

Quartz Obsession fa notare come gestire con successo una bad bank può mettere alla prova un talento e temprarlo. E, alla fin fine, lanciarne la carriera.

Caso emblematico è quello di Michael Corbat di Citi: classe 1960, ha seguito la cessione di un portafoglio di business e asset non core a seguito della crisi finanziaria del 2008 e la partecipazione di Citi al Troubled Asset Relief Program.

Nel 2011 è stato nominato CEO dell’area Europa, Medio Oriente e Africa. Poi, nell’ottobre 2012, l’ultimo tratto della scalata, con la nomina a CEO di Citi dopo le dimissioni di Vikram Pandit.

 



1 – Quartz

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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