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E se Nord Stream 1 non riapre? Rinunciare al gas russo in 4 “semplici” mosse

Breve riassunto delle puntate precedenti. Lunedì 11 luglio Gazprom ha chiuso Nord Stream 1, ufficialmente per lavori di manutenzione della durata di una decina di giorni. Nord Stream 1 è il principale canale attraverso cui il gas russo arriva all’Europa. La domanda, ora, è: trascorsi questi dieci giorni – quindi, largo circa, entro la fine di questa settimana – la Russia riaprirà o no il rubinetto? E se non lo riaprisse, cosa accadrebbe all’Europa?

 

Se Nord Stream 1 non riapre, si va verso il razionamento

Da quando la Russia ha avviato le operazioni militari in Ucraina, lo scorso 24 febbraio, è stato tutto un sottolineare – da più parti e giustamente, anche – quanto potesse essere un controsenso sanzionare Mosca e al contempo continuare a rifornirsi al suo mercato delle fonti energetiche fossili. Controsenso che ne sottende un altro, sul quale l’Agenzia internazionale dell’energia ha più volte espresso il suo parere: fare di un Paese col quale i rapporti non sono sempre stati serenissimi il proprio principale fornitore di fonti energetiche.

“La dipendenza dalle importazioni di gas russo è aumentata nonostante le crescenti tensioni e crisi, tra cui i tagli alle forniture nel gennaio 2009 e l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. La quota di gas russo (compreso il gnl) che soddisfa la domanda totale dell’Ue è passata dal 30% nel 2009 al 47% nel 2019”. Quota scesa poi a circa il 40% nel 2020, in un contesto di eccesso di offerta globale. “Nel 2021 la quota si è mantenuta a un livello simile”, in scia alla scarsità artificiale creata da Gazprom. Una mossa che ha generato diversi picchi di prezzo nella stagione dei riscaldamenti accesi 2021/2022.
 

 
Cosa succede se a lavori di manutenzione ultimata il gasdotto Nord Stream 1 non dovesse ripartire? L’Europa, come fa notare Bloomberg, potrebbe dover razionare il gas naturale in vista della domanda invernale di riscaldamento, tanto più massiccia quanto più rigide dovessero mai rivelarsi le temperature e le condizioni meteo esterne. Tutto ciò con evidenti riflessi anche sulle imprese e sull’economia.

Come vi diciamo sempre, però, ogni difficoltà cela un’opportunità. In questo caso, l’opportunità può essere quella di diversificare le fonti di approvvigionamento. Bene, bravi, bis, direte voi. Ma come si fa a diversificare?

Nel recente report sul mercato del gas nel terzo trimestre dell’anno, l’Agenzia internazionale dell’energia prova a dare qualche risposta, che riassumiamo qui di seguito.

 

Come rinunciare al gas russo e vivere sereni

Partiamo dai numeri. Nel 2021 l’Unione Europea rappresentava il 60% delle esportazioni di gas della Russia e circa il 70% dei suoi ricavi da esportazione di gas. Il calo delle forniture dei gasdotti russi è proseguito nel primo semestre del 2022, con una diminuzione del 30% su base annua. I tagli unilaterali delle forniture di Gazprom a diversi Stati Ue nel secondo trimestre dell’anno hanno ulteriormente contribuito alla riduzione delle forniture e all’aumento dell’incertezza del mercato. E siamo così arrivati allo stop dell’11 luglio. E ora?

Tutti dicono di voler “eliminare la dipendenza dal gas russo”. Obiettivo importante e ambizioso, da tempo raccomandato dall’Aie, ma che richiederà qualche anno, per lo meno se si vuole attenuare il trauma a carico di aziende, consumatori e, di riflesso, economia. Il progetto REPowerEU della Commissione europea delinea non a caso un piano per portare gradualmente a zero la dipendenza dai combustibili fossili russi ben prima della fine di questo decennio (entro il 2027, secondo i piani).

Quanto al gas, la situazione oggi è, come si dice, a macchia di leopardo.

  • Lituania, Estonia e Lettonia hanno detto basta al gas russo.
  • Bulgaria, Polonia, Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi, in seguito al rifiuto di aderire al sistema di pagamento in rubli introdotto unilateralmente dalla Russia, hanno subito il taglio delle forniture da parte di Gazprom. E comunque Bulgaria, Paesi Bassi e Polonia avevano anche annunciato di non voler rinnovare i contratti a lungo termine con Gazprom, in scadenza quest’anno.
  • La Germania – il più grande importatore di gas russo tra i Paesi Ue – mira a ridurre la quota di gas russo nelle sue forniture al 10% entro l’estate del 2024. Secondo Rwe, il gas russo potrebbe essere completamente eliminato entro il 2025.
  • L’Italia intende eliminare gradualmente la sua dipendenza dal gas russo entro la seconda metà del 2024, rispetto ai 29 miliardi di metri cubi importati nel 2021.
  • Austria e Francia mirano entrambe a eliminare gradualmente le importazioni di gas russo entro il 2027.

Tutto ciò, fermo restando che non sia la Russia ad accelerare i tempi chiudendo il rubinetto. Nel frattempo, a tempi più o meno serrati, cos’altro possiamo fare noi storici clienti di Mosca?

 

 

Rinunciare al gas russo in 4 “semplici” mosse

Ecco alcune delle indicazioni che abbiamo potuto ricavare dal rapporto sul mercato del gas dell’Agenzia internazionale dell’Energia.

  • Incrementare la capacità di rigassificazione dell’Unione europea, attualmente pari a oltre 160 miliardi di metri cubi all’anno e distribuita in modo disomogeneo, con oltre il 40% situato nella penisola iberica, che tra l’altro è scarsamente collegata al resto del continente. Aumentare quindi gli interconnettori e la capacità di importazione in alcuni mercati. E infatti il piano REPowerEU prevede 10 miliardi di euro di investimenti in nuove infrastrutture per il gas naturale liquefatto e corridoi di gasdotti nel periodo 2022-2030.
  • Puntare sulle unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (Fsru), che hanno tempi di consegna notevolmente più brevi rispetto ai terminali onshore e non presentano gli stessi rischi di lock-in (in quanto possono essere noleggiate per periodi più brevi). Le Fsru noleggiate da società dell’Ue potrebbero aggiungere oltre 60 miliardi di metri cubi all’anno di capacità di rigassificazione entro il 2025.
  • Secondo l’Aie, poi, sarà fondamentale fornire ai Paesi dell’Europa centrale e orientale senza sbocco sul mare l’accesso al gnl, anche attraverso l’uso congiunto di terminali gnl situati nei Paesi limitrofi.
  • Poi, naturalmente, c’è tutto il tema di una più rapida diffusione delle energie rinnovabili, delle pompe di calore e dei cambiamenti nei comportamenti di consumo. Questi ultimi, che per esempio potrebbero tradursi in una riduzione di un grado Celsius dei termostati, potrebbero far risparmiare circa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Ovviamente, molto dipenderà anche dalle condizioni meteo del prossimo inverno.

Le altre parole chiave nel progetto di progressiva sostituzione del gas naturale sono “biometano” e “idrogeno a basse emissioni di carbonio”. E anche se i tempi sono incerti, una cosa è più che certa: la fame di energia mondiale ed europea non è destinata a diminuire ma ad aumentare. Dobbiamo regolarci di conseguenza. E, se possibile, compatibilmente con il quadro complessivo dell’offerta e con i costi per il pianeta.

Riusciranno i nostri eroi? Voi come la vedete?

 


 

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