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Informazione e finanza: perché i media parlano sempre degli stessi titoli?

I riflettori “selettivi” dei media

Apriamo un quotidiano, uno a caso, accendiamo la tv, sintonizzandoci su un qualsiasi telegiornale, o apriamo un qualunque sito economico o finanziario. E assistiamo a quello che i “fighi” chiamano il media coverage effect.

Di cosa si tratta?

Semplicemente: vi è la tendenza da parte dei media a concentrarsi su taluni argomenti, solitamente sulle catastrofi, o a seguire in particolare alcune aziende, tipicamente le più importanti o famose. Il tutto trascurando quello che non colpisce l’emotività dei lettori o degli ascoltatori: fa più rumore un albero che cade di cento che crescono, potremmo dire.

E cosa c’è di più attuale ed emotivamente stuzzicante del crollo delle borse e della risalita dell’amato (e per troppo tempo trascurato), spread per solleticare l’interesse (a volte morboso) degli investitori? Pare che solo il crollo di borsa faccia notizia, pare che solo il negativo possa attrarre l’attenzione di chi legge o di chi ascolta un telegiornale: mistero della vita.

E le aziende che “non fanno notizia”?

Ho detto che i media “coprono” le aziende più importanti, trascurando quelle minori, quelle che non fanno notizia e i cui manager non sono pagati milioni di euro. Prestiamo però attenzione a una cosa: così facendo coloro che sono i generatori di notizie rendono più difficile al risparmiatore trovare delle informazioni relative alle “piccole aziende” e lo “distraggono” indirizzando la sua attenzione verso quelle più note e famose di cui sopra.

A farne le spese sono i risparmiatori

Si tratta di una distorsione, di cui non ci accorgiamo, ma il cui risultato è di escludere dal nostro portafoglio (asset allocation) alcune aziende potenzialmente interessanti solo perché di esse nessuno, o pochi, parlano.  In questo contesto diventa più facile concentrarsi sui titoli che compongono l’indice di Borsa, piuttosto che prendere in considerazione tutti i titoli quotati. Sicuramente questi titoli (quelli che compongono l’indice intendo), sono più liquidi, il loro mercato è più spesso e sono “coperti” dai media. E ancora, in termini di tempo diventa meno costoso concentrasi sulle blue chips. Ma è anche vero che interessanti opportunità si potrebbero nascondere tra i titoli meno “famosi”. Un problema non da poco per chi volesse veramente attuare una strategia di diversificazione del portafoglio.

Il risvolto psicologico…

E non manca neppure il risvolto psicologico della questione. Immaginate di aver acquistato un titolo che rientra nell’indice e di aver perso denaro: avrete dalla vostra parte una serie di scusanti e di “ammortizzatori psicologici” che giustificano la vostra scelta: il titolo è famoso, ne parlano i giornali e le grandi banche fanno uscire report e valutazioni periodiche su di esso. Il vostro disagio psicologico è attutito da queste giustificazioni e la perdita di denaro è spesso attribuita alla sfortuna, alla congiuntura o alla Legge di Murphy. Cosa accadrebbe, invece, se voi aveste scelto un titolo, sempre quotato, ma sconosciuto ai più? Un titolo di cui pochi parlano e di cui a stento trovate un sito internet? Qualora voi perdeste del denaro da quell’investimento, vi trovereste a sperimentare un forte disagio psicologico. Una domanda del tipo “ma chi me lo ha fatto fare”? sorgerebbe più che spontanea e trovereste difficile giustificare la vostra scelta, in primo luogo a voi stessi, figuriamoci poi agli altri.

La rete è meno democratica di quanto pensiamo…

Nell’era di internet e dei social abbiamo la convinzione che si facile trovare tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno (just a mouse click away), ma non è così. Parrebbe proprio che la rete non sia poi così democratica come molti pensano…

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