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PIR, cronache da un mercato finito nel congelatore

Il tramonto del mercato dei PIR

Tutto è iniziato con la Legge di Bilancio 2019, e ve ne abbiamo già parlato all’inizio dell’anno1. Allora, però, non c’era ancora il decreto attuativo del ministro dello Sviluppo Economico (di concerto con il ministro dell’Economia), uscito in Gazzetta Ufficiale il 7 maggio2.

Com’è oggi la situazione? Il mercato dei PIR, per caso, è ripartito? No, non proprio. E cerchiamo di capire perché.

 

Dai vecchi ai nuovi PIR

L’introduzione dei Piani di Risparmio a lungo termine è avvenuta all’inizio del 2017 con la Legge di Bilancio varata per quell’anno (L. 232/2016): al fine di incentivare l’investimento nelle piccole e medie imprese italiane (PMI), la normativa prevedeva un vantaggio fiscale3 per i sottoscrittori di PIR, posto che fossero rispettati alcuni vincoli. In particolare:

  • almeno il 70% del valore complessivo degli attivi andava investito in strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da aziende italiane, residenti nel territorio nazionale, in Stati membri dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione nel nostro Paese;
  • di questo 70%, almeno il 30% andava investito in strumenti finanziari emessi da aziende diverse da quelle del Ftse MIB italiano o di equivalenti indici di mercati regolamentati esteri.

E già questo poneva interrogativi sull’esposizione al rischio Italia e sul grado di liquidità dello strumento PIR, come noi osservammo a suo tempo4. Ricordiamo poi che all’investitore era (ed è) richiesto un impegno di almeno cinque anni, pena l’annullamento del vantaggio fiscale.

Poi è arrivata la Legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018), che ha aggiunto ulteriori vincoli, fermi restando quelli sopra riportati: le sue disposizioni si applicano ai PIR costituiti a partire dal primo gennaio 2019, mentre per i PIR costituiti fino a fine 2018 continua a valere la disciplina precedente, ferma restando la possibilità di adeguare il portafoglio alle nuove regole.

In sostanza, la normativa 2019, come ha confermato il decreto attuativo, chiede che la quota del 70% del valore complessivo del PIR debba essere investita:

  • per almeno il 5% del valore complessivo in strumenti finanziari, ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione, emessi da PMI ammissibili;
  • per almeno il 5% in quote o azioni di fondi per il Venture Capital, o in fondi di fondi per il Venture Capital.

Nel decreto attuativo il ministero dello Sviluppo Economico si è lasciato uno spazio di manovra: l’articolo 6 stabilisce infatti che, “decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto”, il ministero “provvederà al monitoraggio degli effetti sull’entità della raccolta e sul numero delle negoziazioni, anche al fine di valutare l’opportunità di interventi normativi ulteriori”.

 

I punti critici delle nuove regole

Quindi, teoricamente, c’è spazio per ulteriori modifiche. Intanto, come fa notare la Banca d’Italia nel primo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria 20195, a fine 2018 all’Alternative Investment Market, il mercato delle PMI di Borsa italiana, “erano quotati poco più di 60 titoli emessi da PMI italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3 miliardi e un flottante medio del 30%”.

L’anno passato, aggiunge Bankitalia, “quasi la metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei giorni di contrattazione”.

E i fondi di Venture Capital? “In Italia operano poco più di 30 fondi di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa 500 milioni e solo alcuni hanno caratteristiche in linea con i requisiti della nuova normativa sui PIR”.

 

 

Profilo di rischio, diversificazione, liquidità

Un lato positivo c’è, conferma la Banca d’Italia, ed è che “le norme recentemente introdotte possono favorire l’emissione di titoli da parte delle imprese di minore dimensione e la diversificazione delle loro fonti di finanziamento”.

Per contro, però, queste stesse norme:

  • aumentano il profilo di rischio dei PIR, che in teoria sarebbero strumenti di risparmio rivolti alle famiglie;
  • possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e liquidità già previsti per i PIR esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti;
  • accrescono il rischio di perdite dovute a vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità tali da spingere i sottoscrittori a liquidare l’investimento prima che sia maturato il beneficio fiscale;
  • potrebbero far sì che tali perdite si riflettano in modo negativo non solo sui risultati dei PIR ma anche sulla reputazione degli intermediari che li promuovono.

 

Morale della favola

Proprio per limitare questi rischi, gli investimenti dei fondi aperti italiani PIR compliant in titoli di PMI italiane e in fondi di Venture Capital sono al momento pressoché nulli. E i nuovi PIR restano ai blocchi di partenza.

Nel comunicato sui dati di raccolta nel primo trimestre 2019, Assogestioni, l’associazione del risparmio gestito, segnala che, “come nel trimestre precedente, si registrano 72 fondi aperti PIR compliant promossi da 33 gestori” e che “la raccolta netta di questi prodotti è ferma”.

 

Uno sguardo ai numeri

Dal canto suo, la Banca d’Italia riferisce che tra gennaio 2017 e giugno 2018 la raccolta netta dei fondi che rispettano la normativa sui PIR, pari a circa 13 miliardi, ha rappresentato quasi il 70% del dato complessivo dei fondi aperti di diritto italiano.

Invece, “nella seconda metà dello scorso anno gli afflussi di risorse verso i fondi PIR hanno registrato un forte calo”, a fronte di riscatti contenuti, stante la normativa fiscale che incentiva i risparmiatori a detenere le quote per almeno 5 anni.

Da gennaio, poi, le sottoscrizioni si sono praticamente fermate. In attesa del decreto attuativo, le SGR non hanno istituito nuovi fondi e la raccolta si è limitata ai soli PIR costituiti prima dell’introduzione delle nuove regole.

 

Fondi PIR | amCharts

 

Consolarsi con gli ELTIF?

Quindi? PIR al tramonto? È presto per dirlo: un’ulteriore revisione della normativa è sempre possibile, e potrebbe far ripartire il mercato. Intanto l’attenzione si è concentrata sugli European Long Term Investment Funds: sono gli ELTIF6, che come i nostri PIR sono nati per convogliare il risparmio privato nella piccola e media impresa, a fronte di incentivi fiscali per i sottoscrittori.

Secondo la società Equita, gli ELTIF potrebbero arrivare a 7-8 miliardi di euro di masse gestite nell’arco di cinque-sette anni, mentre al momento non si vede uno spazio per un’evoluzione dei nuovi PIR, a meno di future modifiche alle attuali disposizioni.

 



1 – La legge di bilancio 2019, la legge delle conseguenze indesiderate e i PIR
2 – Disciplina attuativa dei piani di risparmio a lungo termine, fonte: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
3 – Investire con i PIR: ecco quando conviene
4 – Piani Individuali di Risparmio: roba seria, o no?
5 – Rapporto sulla stabilità finanziaria 2019, fonte: Banca d’Italia
6 – Cosa sono gli ELTIF, i “PIR europei” pronti al decollo

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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