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Uguaglianza di genere: il gap in 5 numeri

Mi scusi, a che ora è l’uguaglianza di genere? La domanda è più che mai d’obbligo oggi, Giornata internazionale della donna. Per rispondere, proponiamo cinque numeri ricavati da un articolo abbastanza recente (settembre 2020) a cura di sette partner e senior partner di McKinsey e del McKinsey Global Institute1.

Il punto di riferimento è il 2015, anno in cui i 193 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno deciso di impegnarsi in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile: il quinto riguarda il raggiungimento della parità di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze ovunque nel mondo entro il 2030.

Un obiettivo senz’altro ambizioso, che nei cinque anni successivi ha incontrato diverse resistenze fino a scontrarsi tragicamente, nel 2020, contro il macigno della pandemia di Covid-19. E se pensate che la disuguaglianza nel mondo del lavoro e dentro casa, con le donne che si fanno carico del triplo del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini, non sia poi tutto questo dramma – e che sarà mai, le donne l’han sempre fatto – date un’occhiata ai 5 numeri che vi proponiamo.

 

12mila miliardi di dollari

Nel 2015, le donne generavano il 37% del PIL globale nonostante rappresentassero il 50% della popolazione globale in età lavorativa. Un rapporto del 2015 del McKinsey Global Institute (MGI), intitolato “The Power of Parity: How advancing women’s equality can add $12 trillion to global growth2 , portò alla luce come, in uno scenario best-in-region (nel quale, cioè, tutti i Paesi eguagliano le prestazioni del Paese che nella loro regione fa più progressi verso la parità di genere), tra il 2014 e il 2025 la crescita del PIL mondiale avrebbero potuto essere più alta di 12mila miliardi di dollari.

L’equivalente del PIL del Giappone, della Germania e del Regno Unito messi insieme, e circa il doppio della crescita del PIL globale ottenibile con il contributo delle lavoratrici tra il 2014 e il 2025 in uno scenario business-as-usual. Ma non finisce qui.

 

28mila miliardi di dollari

Se poi ognuno, dal 2014, avesse fatto non al meglio della propria regione di riferimento ma al meglio in assoluto, rimuovendo gli ostacoli alla partecipazione delle donne alla forza lavoro, nel 2025 ci saremmo ritrovati non con 12mila ma con 28mila miliardi di dollari in più di PIL globale. Un incremento, rispetto allo scenario business-as-usual, approssimativamente equivalente al PIL degli Stati Uniti e della Cina insieme.

 

62 per cento

Sebbene nelle economie avanzate dell’area OCSE le donne abbiano fatto grandi passi in avanti in qualità di lavoratrici, consumatrici e risparmiatrici, molti di questi passi in avanti hanno avuto come contrappeso un incremento dei costi e la comparsa di nuove forme di insicurezza. Per capirci: tra il 2000 e il 2018, le donne hanno rappresentato i due terzi dei 45 milioni di posti di lavoro creati in 22 Paesi OCSE, ma molti di questi lavori sono stati part time o autonomi, meno sicuri, con una paga inferiore e meno benefici.

In questo periodo, l’occupazione femminile a tempo parziale è aumentata del +2,3%, a fronte del +0,7% dell’occupazione a tempo pieno delle donne stesse.

Dal lato del risparmio le cose non vanno molto meglio. Se la ricchezza netta mediana delle donne è complessivamente più alta di quanto non fosse due decenni fa, rimane un ampio divario di genere: basti pensare che in Europa la ricchezza netta mediana delle donne equivale al 62% di quella degli uomini.

 

 

1.000 miliardi di dollari

La pandemia di Covid-19, poi, ha colpito le prospettive economiche delle donne più duramente di quelle degli uomini. Per tante ragioni. In parte la causa sta nel fatto che le donne risultano rappresentate in modo sproporzionato nei settori che, al momento in cui è uscito l’articolo, si prevedeva si sarebbero contratti di più per via della pandemia.

C’è poi da considerare che in questo periodo non facile è aumentato il carico del lavoro di cura non retribuito, stante la chiusura di asili e scuole.

“Se non viene intrapresa alcuna azione per contrastare gli impatti regressivi di genere del Covid-19, calcoliamo che la crescita globale del PIL potrebbe essere inferiore di 1.000 miliardi di dollari nel 2030 rispetto a quella che si avrebbe se la disoccupazione delle donne seguisse semplicemente quella degli uomini in ogni settore”, scrivono le autrici.

E naturalmente, questa botta alla crescita potrebbe essere ancor più importante “se l’aumento delle responsabilità nella cura dei bambini, una ripresa più lenta e la riduzione della spesa pubblica e privata per servizi come l’istruzione e l’accudimento dei bimbi costringessero le donne a lasciare il mercato del lavoro in modo permanente”.

  • intervenendo nell’ottica di far fare passi in avanti all’uguaglianza di genere, il PIL globale potrebbe trovarsi con 12mila miliardi di dollari in più rispetto alla linea di base nel 2030;
  • se oltre a lavorare sul progresso dell’uguaglianza di genere lavorassimo pure sul contenimento dell’impatto regressivo della pandemia, avremmo addirittura 13mila miliardi di dollari in più di PIL globale nel 2030 (rimuovendo i mille miliardi di impatto di cui sopra);
  • agendo solo dopo che la crisi Covid-19 si è placata, questa opportunità si ridurrebbe di oltre 5mila miliardi di dollari, di fatto quasi dimezzandosi.

 

25 per cento

Il progresso dell’uguaglianza di genere, quindi, può essere un vero e proprio punto di svolta per la crescita dei Paesi. Non solo: anche le aziende avrebbero tutto da guadagnarci. Al netto del “piolo rotto” – quel meccanismo che fa sì che ci siano solo 72 donne ogni 100 uomini assunti o promossi in ruoli di management – sono i dati che parlano chiaro.

Le ricerche McKinsey “Diversity Matters” (2015), “Delivering through Diversity” (2018) e “Diversity Wins” (maggio 2020) si sono chieste se le aziende con livelli più alti di diversità di genere ed etnica abbiano davvero migliori performance.

La ricerca del 20203 , in particolare, ha esaminato una serie di dati di oltre 1.000 grandi aziende in 15 Paesi e ha scoperto che le aziende nel primo quartile per diversità di genere avevano il 25% di probabilità in più di avere una redditività superiore alla media rispetto alle aziende nel quarto quartile.

Oggi, con le aziende concentratissime sulla ripresa, si profila il rischio serio che inclusione e diversità recedano da priorità strategiche a “ci torneremo non appena possibile”. Ma sminuire la diversità potrebbe essere un errore, compromettendo le performance e vanificando gli sforzi per rafforzare nel tempo la ripresa, delle aziende oltre che dei Paesi.

 



1. Ten things to know about gender equality.
2. How advancing womens equality can add 12 trillion to global growth.
3. Diversity wins how inclusion matters

 

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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