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Coronavirus, un nuovo maelstrom sui mercati

Vi chiederete: cosa diamine è un “maelstrom”? Noi, volendo fare i professorini, vi rispondiamo: mai letto Edgar Allan Poe? Ci spiega la Treccani che trattasi di un “nome dato, soprattutto in opere letterarie, a fenomeni vorticosi del Mare del Nord, che si verificano specialmente nello stretto di Malström, dove si formano fortissime correnti di marea”.

E ancora: “fenomeni cui si attribuiva il potere di risucchiare e distruggere ogni nave che si trovasse a passare entro un certo raggio di distanza”.

Quindi, ci siamo dati alla nautica? Nossignore, no: il nostro è un uso figurato della suggestione letteraria. Da essa partiamo per parlare di mercati.

 

C’è un certo livello di stress

Non si può negare che lo stress sui mercati finanziari sia alto, su livelli già preoccupanti: siamo sotto la soglia 50 del nostro Barometro del rischio, e sia l’indice di volatilità implicita delle Borse europee (V2X) sia quello statunitense (VIX) sono oltre quota 50%, circa il doppio della media di lungo periodo.

I rendimenti e gli spread delle obbligazioni societarie si sono impennati, così come quelli dei titoli governativi di Paesi considerati non esattamente sicuri. Come l’Italia, per esempio, che ha visto lo spread BTP-Bund risalire oltre quota 200.

 

barometro_post_raff | amCharts

 

Ma mentre la velocità con cui le condizioni si sono deteriorate echeggia quella manifestatasi durante il collasso di Lehman, ad oggi lo sguardo d’insieme di tali metriche non induce ancora a pensare che ci troviamo di fronte a una catastrofe di tali proporzioni.

E, per mettere il tutto in prospettiva, il sistema bancario – uno snodo centrale per l’economia e i rischi sistemici – sembra in buona salute: il TED spread, ossia la differenza tra il tasso Libor a 3 mesi e il tasso d’interesse a breve termine (misura chiave dello stress del suddetto sistema), sembra sotto controllo, veleggiando intorno a quota 35 punti base.

Nel 2008, lo ricordiamo, superò i 300 punti base.

 

9 marzo 2020: un nuovo lunedì nero

La seduta del 9 marzo, nel corso della quale la nostra Borsa ha chiuso con una perdita del -11% abbondante, si è consumata in una giornata di cosiddetto panic selling (al quale le notizie provenienti dall’Italia hanno contribuito non poco), con il prezzo del petrolio e le azioni in rosso pesante e un’elevatissima volatilità su divise e obbligazioni.

Gran parte dei volumi sono imputabili a trading algoritmico, come riporta Bloomberg: “i programmi di trading algoritmico hanno creato una massa di ordini che come una palla di neve è rotolata a valle, provocando uno dei più ampi movimenti di mercato dalla crisi finanziaria del 2008”.

Questa è la norma: la maggioranza dei volumi è generata dagli algoritmi in qualsiasi giornata di scambi; in questi frangenti, si crea un meccanismo di feedback per cui ordini di vendita generano ulteriori ordini di vendita, seguendo una logica Momentum1 che si autorinforza.

 

 

Lo sguardo più in là

Su questo blog invitiamo sempre a considerare con sospetto l’idea del market timing2: è difficile, non riesce quasi mai. Ci si trova quasi sempre a inseguire il mercato, i movimenti già accaduti, aggiungendo danno al danno. Meglio un portafoglio ben strutturato in tempi non sospetti, con un livello di diversificazione3 dei rischi ampio e rassicurante.

Questo è un concetto semplice, ma importante. Consideriamo solo due macro asset class:

  • azioni internazionali, di tutti i mercati Sviluppati ed Emergenti;
  • obbligazioni internazionali, sia governative che societarie, di mercati Sviluppati ed Emergenti.

Consideriamole separatamente e poi consideriamo la strategia d’investimento – semplicissima ma non poi così popolare – basata sulla semplice idea di bilanciamento paritetico delle due asset class, e vediamo com’è andata negli ultimi cinque anni.

E andiamo a controllare anche com’è andata un’altra strategia, anch’essa frugale, che prevede di assegnare un peso a ciascuna asset class in modo inversamente proporzionale al rischio (sicché le obbligazioni, meno rischiose, peseranno di più).

Non esattamente roba da NASA.

 

grafico_2_raff | amCharts

 

Il mercato azionario ha perso parecchio, ma è la peggiore perdita dall’inizio del 2019. Non dal 1929. O dal 2008. Lo ripetiamo: dal 2019. Una correzione d’intensità paragonabile (lievemente inferiore, invero) alla correzione di fine 2018. E le obbligazioni sono andate alla grande. E le strategie bilanciate sono andate bene.

Quindi, appurato che finora è sì successo qualcosa sui mercati, ma non uno tsunami, poniamoci una domanda più profonda. Domandiamoci se, al di là del movimento di breve periodo, questa situazione richieda una revisione profonda e strategica dell’asset allocation complessiva dei propri investimenti.

Il mercato in questo momento sta scontando uno scenario da recessione globale. Ma questo avviene proprio nel momento in cui in Cina (l’epicentro del nuovo coronavirus4) l’epidemia sta scemando e le attività commerciali stanno riaprendo.

 

china_reco_2 | amCharts

 

Cioè: in poco più di un mese l’attività commerciale è ripartita, dopo che la Cina ha adottato misure di contenimento drastiche.

Se lo scenario cinese si ripetesse in Occidente, dove l’epidemia nel frattempo si è spostata, possiamo dunque ben sperare – anche se il mercato in questi giorni sembra inglobare soprattutto una visione catastrofica di rapida espansione del coronavirus. Ma attenzione: “il mercato” è in buona parte costituito da algoritmi che operano automaticamente, secondo logiche Momentum.

E l’Italia, seppur con parecchi problemi di forma, ha adottato misure drastiche, tra le più draconiane che si possano concepire sulla base del nostro ordinamento giuridico.

Si può pensare che altri Paesi occidentali, se dovessero risultare colpiti con violenza dal nuovo coronavirus, adotterebbero misure analoghe. In questo momento il “boccino” è in mano a Stati Uniti, Francia e Germania e alla risposta che daranno se il coronavirus dovesse colpirli con la stessa intensità del caso italiano.

 

Riusciranno i nostri eroi a battere il coronavirus?

La domanda chiave è: queste misure avranno la stessa efficacia riscontrata in Cina? Riuscirà l’Occidente a liberarsi in un mese del coronavirus come ha fatto Pechino? Se così fosse, uno o due mesi di riduzione (anche forte) dell’attività non sono sufficienti a creare una recessione globale (anche se sono sufficienti a creare recessione in Italia, vista la sua crescita asfittica).

Riteniamo che se nel giro dei prossimi 10-15 giorni ci fossero dei segnali incoraggianti sul numero dei nuovi contagiati, il mercato recupererebbe. Non abbiamo oggi gli elementi per dirlo con certezza, anche se, vivendo in una zona rossa, tocchiamo con mano l’impatto concreto di tali misure: strade deserte, locali vuoti. Forse fermeremo questa cosa, sì.

Nel frattempo, le banche centrali hanno iniziato a sparare qualche cartuccia o a dichiarare di essere pronte a farlo (il che è già molto), e i governi, tipicamente più lenti, hanno iniziato a estendere i cordoni fiscali.

Nulla di davvero mastodontico, come invece la situazione sanitaria meriterebbe, ma la reazione è stata più tempestiva che in altre situazioni ed è probabile che nei prossimi giorni le misure a sostegno dell’economia aumentino.

Da un punto di vista prettamente quantitativo, le valutazioni relative tra le principali asset class non sono cambiate, una ragione in più per non modificare drasticamente l’asset allocation dei portafogli. A breve pubblicheremo la nostra asset allocation con maggiori dettagli, seguiteci.

Ma con i numeri di questi giorni, riteniamo che si possa essere ottimisti.

 



1 – #ABCFinanza: Cos’è la strategia Momentum?
2 – Financial Brief | Il market timing: se lo conosci lo eviti
3 – Perché è così importante diversificare il portafoglio?
4 – Come un coronavirus può contagiare l’economia e i mercati

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