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Investire usando il 100% del proprio cervello si può: ecco come

Il 24 novembre 1974, nella regione di Afar, in Etiopia, il paleoantropologo Donald Johanson e la sua squadra portarono alla luce lo scheletro più completo di un antenato umano, antico di più di 3 milioni di anni. Dal suo bacino si capì che era una femmina. La chiamarono Lucy, come in “Lucy in the sky with diamonds” dei Beatles. Stabilirono che era una Australophitecus afarensis, da Afar, la regione del suo ritrovamento.

Lucy l’australopiteco femmina, età stimata al momento del decesso 18 anni (quindi vecchia: all’epoca la vita durava in media 25 anni), è la special guest star del film di Luc Besson “Lucy”, uscito al cinema nel 2014. Protagonista, vuole il caso, è una giovane donna di nome Lucy, interpretata da Scarlett Johansson, una delle più affascinanti e talentuose discendenti dell’altra Lucy.

 

Di cosa parla il film “Lucy”? Riassunto senza spoiler

Te la faccio breve. C’è uno neuroscienziato, il professor Norman, interpretato dall’immenso Morgan Freeman. A un certo punto, durante un convegno nel quale è relatore, alla platea spiega che secondo le stime “la maggior parte delle persone utilizza solo il 10% delle sue capacità cerebrali”. E invece “immagina che cosa succederebbe se potessimo sfruttare il 100%”.

Lucy è Lucy Miller, 25enne che vive a Taipei, in Taiwan. Un bel giorno, a seguito di una caotica serie di eventi, le viene chirurgicamente innestato nell’addome un sacchetto contenente una nuova droga, il CPH4 sintetico: viene così obbligata da uno spietato clan criminale a farsi corriere, portando tale carico tossico in Europa. Fatto sta che a un certo punto (non ti dico come) il sacchetto si rompe e la sostanza entra in circolazione e raggiunge il cervello di Lucy. O per meglio dire, lo bombarda: Lucy inizia ad accedere al presunto 90% non utilizzato e presto arriva al mitologico 100%. Con grandissimo effetto scenico, devo dire.

Ma è proprio così? Davvero c’è un 90% di cervello che la maggior parte di noi Sapiens, oggi, non utilizza e invece potrebbe?

 

Usiamo solo il 10% del nostro cervello? No, è un falso mito

Bisogna ammetterlo: l’idea è seducente, e in ogni caso buona a illudere i babbei come me che basterebbe un niente (o quasi) per diventare Margherita Hack o Rita Levi Montalcini e forse persino di più. E invece no: quella del cervello usato solo in minima parte, oltre a essere un esilarante trailer di Maccio Capatonda & company (te lo ricordi? “Ciao, mi fai uno spread? Ah, scusa, uno spritz.”), è una vecchia teoria che è già stata ampiamente smentita.

La visualizzazione del cervello attraverso le tecniche di brain imaging, infatti, non evidenzia alcuna area “dormiente” o non ancora “colonizzata”. Insomma, non solo quello che si vede è quello che c’è, ma quel che c’è, poco o tanto, è tutto quello che utilizziamo. Ti pare poco? Non rattristarti.

 

 

In compenso, abbiamo ben tre cervelli

È stato il neuroscienziato Paul Donald MacLean a formulare, nella seconda metà del secolo scorso, quella che oggi è nota come “teoria dei tre cervelli”. Anche conosciuta come “teoria del cervello tripartito” o “trino”. In sostanza, nel nostro comunque complesso e voluminoso cervello, MacLean ha messo fuoco tre livelli – li chiamiamo così per semplificare, ci perdoneranno i neurologi eventualmente qui presenti – ognuno dei quali ha una specifica funzione.

Li definiamo “livelli” perché, di fatto, sono come tre strati, ognuno depositatosi dentro la nostra scatola cranica in momenti successivi del nostro lungo cammino evolutivo (ed ecco che torna Lucy, con tutti gli ominidi che l’hanno preceduta, accompagnata e succeduta). Nel corso di questo cammino evolutivo, il nostro cervello è andato progressivamente maturando funzioni via via più complesse.

  • In principio fu il “cervello rettiliano”, primo in ordine di comparsa e il più profondo in termini anatomici. È, in sostanza, quello che governa le nostre più istintive mosse per la sopravvivenza. Che tu ci creda o no, funziona ancora in questo modo: davanti a un pericolo vero o presunto, sa impartirci solamente due comandi, in alternativa: attacco o fuga (fight o fly). Non conosce rielaborazione razionale, ma in compenso è rapidissimo: è un po’ l’istinto che scatta nell’investitore di fronte ai cali azionari o ai timori di insolvenza dell’emittente le cui obbligazioni ha sottoscritto. Non a caso si parla di “fuga” anche in questi frangenti.
  • Poi venne il “cervello paleomammaliano” o “limbico”: è il secondo strato, non meno animale del primo. Va però detto che a questo livello non esiste più soltanto la paura, con il correlato disposto del “fuggi o attacca”, ma anche una articolata infrastruttura emozionale, che ci guida nelle relazioni affettive e sociali. Qui siamo già in zona Lucy (Lucy la nostra antenata), che infatti viveva in gruppo, come dimostrerebbe il fatto che accanto ai suoi furono rinvenuti i resti di altri esemplari della sua specie.
  • Ed eccoci a noi, animaleschi Sapiens: abbiamo un cervello rettiliano, abbiamo un cervello limbico e vantiamo una invidiabile neocorteccia, che fa di noi un caso unico tra i mammiferi. Rielaborazione dei dati, progettualità creativa, pensiero astratto, formulazione etica e morale: sono tutte “app” che abbiamo scaricato nel tempo e che troviamo installate in questo incredibile sistema operativo. Al quale, in linea di principio, toccherebbe pure l’arduo compito di gestire il traffico dei due livelli sottostanti.

 

Come usare il 100% del nostro cervello per investire bene?

Ok, è vero, noi usiamo già tutto il 100% del nostro cervello e non ne esiste una riserva pazzesca inutilizzata. Il che, però, non significa che lo utilizziamo sempre in maniera efficiente. Anzi. La teoria economica classica dell’Homo Oeconomicus – razionale e ben portato per l’oggettiva ponderazione – era lusinghiera sotto tanti punti di vista, ma non spiegava gli svarioni e le cantonate di noi “esseri razionali”.

È stata poi la finanza comportamentale, alla luce anche delle conquiste della neuroscienza, a dirci che non di sola ragione vive l’essere umano, ma anche di emotività e di istinti di fuga o attacco. Usare il 100% del proprio cervello quando si investe non vuol dire rispolverare l’Homo Oeconomicus ma prendere consapevolezza dell’esistenza dei due piani sottostanti, che ci hanno garantito lunga vita e prosperità per – letteralmente – milioni di anni. Prenderne coscienza per sfruttarne o disinnescarne gli input.

Per esempio, quando l’atavico istinto, di fronte ai cali di Borsa, ti dice “scappa” e invece ti conviene restare e beneficiare dei recuperi successivi , che come già tante volte ti abbiamo detto sono, tutto sommato, abbastanza fisiologici.

 


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Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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