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Alla (ri)scoperta dei Piani di Risparmio a lungo termine

L’antefatto forse lo conoscete: il 25 novembre la Commissione Finanze della Camera ha approvato all’unanimità una proposta di emendamento al decreto legge 124/20191, contenente “disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”; l’emendamento, che ha come primo firmatario l’onorevole Sestino Giacomoni di Forza Italia, vicepresidente della suddetta Commissione, ci interessa perché va a modificare la disciplina sui PIR, rimuovendo di fatto i vincoli che ne avevano congelato il mercato.

Quindi ora il mercato è pronto a ripartire. Oppure no? Vediamo i punti dell’emendamento, fermo restando che deve ancora ottenere l’ok di Camera e Senato.

 

Storia dei PIR dal via allo stop

I Piani di Risparmio a lungo termine sono stati introdotti all’inizio del 2017 con la Legge di Bilancio varata per quell’anno, la numero 232/2016. La normativa prevedeva un significativo vantaggio fiscale per i sottoscrittori di PIR – con esenzione dalla tassazione sui redditi da capitale o redditi diversi derivanti dagli investimenti nel PIR, nonché dalle imposte di successione – al fine di incentivare l’investimento nelle piccole e medie imprese italiane (PMI). A condizione, però, che fossero rispettati alcuni vincoli.

Nel dettaglio:

  • almeno il 70% del valore complessivo degli attivi va investito in strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da imprese italiane residenti nel territorio nazionale o in Stati membri dell’UE o dello Spazio Economico Europeo, purché dotati di stabile organizzazione nel nostro Paese;
  • di questo 70%, almeno il 30% va investito in strumenti finanziari emessi da aziende diverse da quelle del FTSE MIB o di indici equivalenti di mercati regolamentati esteri;
  • l’investitore deve detenerli per almeno cinque anni, pena l’annullamento del vantaggio fiscale previsto2.

Poi è arrivata la Legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018)3, che ha aggiunto ulteriori vincoli validi per i PIR costituiti a partire dal primo gennaio 2019 (per i Piani costituiti fino a fine 2018 ha continuato a valere la disciplina precedente, ferma restando la possibilità di adeguare il portafoglio alle nuove regole).

Cosa ci dice la normativa del 2019? Come confermato dal successivo decreto attuativo4, essa prescrive che la quota del 70% del valore complessivo del Piano di Risparmio a lungo termine costituito dall’investitore privato indipendente debba essere investita:

  • per almeno il 5% del valore complessivo in strumenti finanziari, ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione, emessi da PMI ammissibili;
  • per almeno il 5% in quote o azioni di fondi per il Venture Capital, o di fondi di fondi per il Venture Capital.

Al fine del computo di entrambe le quote, “si considerano ammissibili gli investimenti in equity e quasi-equity”. Ulteriori disposizioni che però, come spiegammo a suo tempo, hanno avuto l’effetto di congelare il mercato5.

 

 

Cosa cambia per i PIR stavolta?

I PIR “post-emendamento” rispolverano sostanzialmente la formula originaria del 2017 rimuovendo il correttivo introdotto all’inizio del 2019 (e che abbiamo visto poco fa).

L’emendamento approvato stabilisce che “in ciascun anno solare di durata del PIR, per almeno due terzi dell’anno stesso, le somme o i valori destinati al piano devono essere investiti almeno per il 70% del valore complessivo, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione nel territorio dello Stato”.

Questa quota del 70% va investita:

  • per almeno il 25% del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati;
  • e – novità – per almeno per un ulteriore 5% del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE MID Cap della Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.

L’emendamento prevede inoltre che le Casse Previdenziali e i fondi d’investimento possano detenere più di un PIR nel limite del 10% del patrimonio. Invariato il vantaggio fiscale.

Attenzione: tutto ciò varrà per i PIR costituiti dopo il primo gennaio 2020. Per gli investimenti in Piani di Risparmio a lungo termine costituiti tra il primo gennaio 2019 e il 31 dicembre 2019 faranno fede le precedenti norme, vale a dire l’articolo 1, commi da 100 a 114, della legge 232/2016, e l’articolo 1, commi da 211 a 215, della legge 145/2018.

 

Normativa 2016-2017 Normativa 2018-2019 Normativa 2020 (in attesa di approvazione)
Almeno il 70% del valore complessivo degli attivi va investito in strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da imprese italiane residenti nel territorio nazionale o in Stati membri dell’UE o dello Spazio Economico Europeo, purché dotati di stabile organizzazione nel nostro Paese Idem Idem
Di questo 70%, almeno il 30% va investito in strumenti finanziari emessi da aziende diverse da quelle del Ftse MIB o di indici equivalenti di mercati regolamentati esteri Di questo 70%, almeno il 5% va investito in strumenti finanziari, ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione, emessi da PMI ammissibili; un altro 5% almeno va investito in quote o azioni di fondi per il Venture Capital, o di fondi di fondi per il Venture Capital Di questo 70%, almeno il 25% va investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nel FTSE MIB o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati; un ulteriore 5% deve essere investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle del Ftse MIB e del Ftse MID Cap (o indici equivalenti)

 

Rischi e opportunità dei PIR

L’Economia del Corriere della Sera ha abbozzato una stima: della ripartenza dei PIR potrebbero beneficiare circa 300 piccole e medie imprese di Piazza Affari, che presentano una capitalizzazione complessiva di 26 miliardi di euro.

Ma, lato risparmiatore, rimangono le opportunità e i rischi che avevamo già messo a fuoco nel 2017, anno della prima partenza dei Piani di Risparmio a lungo termine.

I PIR restano infatti, come scrivemmo all’epoca, “un concentrato di rischio Italia”. Oltre a ciò, presentano:

  • un rischio di liquidità, per via dei titoli non presenti nel FTSE MIB;
  • un rischio legato alle azioni emesse dalle società a piccola capitalizzazione, generalmente più volatili;
  • un rischio specifico legato alle singole aziende, anche se dovrebbero essere confermati i limiti di concentrazione;
  • un rischio legato alla composizione stessa del singolo PIR (ce ne saranno alcuni più orientati all’azionario, altri più all’obbligazionario, con differenti prospettive in termini di rischio e redditività).

Quasi tre anni dopo il varo dei PIR, si conferma dunque la nostra raccomandazione finale: essere ben consapevoli della natura dell’investimento che, se giudicato interessante, va fatto con il giusto dosaggio, in linea con il proprio profilo di rischio, con l’orizzonte d’investimento (che qui deve superare i cinque anni) e con una buona diversificazione di portafoglio.

 



1 – Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari, fonte: Camera dei Deputati
2 – Piani Individuali di Risparmio: roba seria, o no?
3 – La legge di bilancio 2019, la legge delle conseguenze indesiderate e i PIR
4 – Disciplina attuativa dei piani di risparmio a lungo termine, fonte: Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana
5 – PIR, cronache da un mercato finito nel congelatore

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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