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HomeECONOMIA E MERCATIGRAFICO DELLA SETTIMANAGrafico della settimana: prezzi di greggio e grano alle stelle, possiamo sopportarlo a lungo?

Grafico della settimana: prezzi di greggio e grano alle stelle, possiamo sopportarlo a lungo?

La Russia dichiara guerra all’Ucraina. La Russia è il secondo maggior esportatore di petrolio al mondo (dopo l’Arabia Saudita). Sulle forniture si allungano ombre densissime, più dense del greggio stesso. Negli scenari incerti che la guerra apre, il prezzo del barile si impenna.

Non solo.

La Russia dichiara guerra all’Ucraina. Russia e Ucraina, insieme, rappresentano “il 29% delle esportazioni mondiali di grano tenero per la panificazione, il 19% del commercio del mais destinato all’alimentazione degli animali negli allevamenti e circa l’80% dell’olio di girasole impiegato per  la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell’industria alimentare, oltre che per le fritture” (fonte: Coldiretti). Battuta d’arresto negli approvvigionamenti e futures del grano a Chicago che addirittura battono il Brent.

Entrambi, lunedì 7 marzo, hanno raggiunto livelli record, come sottolinea Garfield Reynolds, chief rates correspondent per Bloomberg News in Asia, con base a Sidney.


A cosa si deve questo movimento? Al timore che potremmo trovarci tutti molto a corto di grano molto presto. Sulla spinta di ciò, i compratori stanno correndo ad accaparrarsene in gran quantità sul mercato, onde essere coperti almeno fino al terzo trimestre dell’anno.

Le ripercussioni sui prezzi potrebbero vedersi per diverso tempo: ripristinare la produzione agricola e le catene di approvvigionamento dalla regione potrebbe richiedere infatti più tempo che per il petrolio e il gas. E ciò lascerebbe i mercati globali delle materie prime agricole vulnerabili a nuovi shock, anche qualora altre parti del mondo aumentassero la loro produzione.

 

Il nodo molto critico dell’energia

Ma il nodo dell’energia non va certamente trascurato. In termini di strategia geopolitica, è forse il più critico. Come bene riassume Mark Gongloff sempre su Bloomberg, “la nuova guerra fredda con la Russia è un po’ come essere ripetutamente presi a pugni in faccia da un bullo e dare al bullo barrette energetiche in modo che possa mantenersi forte e in forma per poter sferrare altri pugni”.

Infatti se da una parte, in risposta alla zampata di Mosca sull’Ucraina, l’Occidente ha reciso in modo aggressivo la maggior parte delle vene che portano nutrimento all’economia russa, dall’altra resta integra e funzionante l’arteria che trasporta petrolio e gas naturale a Ovest e denaro contante a Est. Il che è autolesionismo, certo: ma l’alternativa sarebbe scarsità di risorse energetiche, impennata dei prezzi e inverni al gelo.

 

 

E così fa in qualche modo scuola Shell, la più grande compagnia petrolifera europea, che dalla Russia sta continuando a comprare petrolio e gas. “Siamo inorriditi dalla guerra in Ucraina e abbiamo chiarito la nostra intenzione di uscire dalle joint venture con le entità afferenti a Gazprom”, ha twittato la compagnia venerdì 4 marzo. “Ma nel rispetto delle attuali sanzioni, stiamo lavorando per continuare a fornire energia in modo sicuro ai nostri clienti”.

“Abbiamo anche interrotto la maggior parte delle attività che coinvolgono il petrolio russo. Tuttavia, attualmente lo acquistiamo e acquistiamo altri prodotti russi per alcune raffinerie e impianti chimici, al fine di garantire continuità alla produzione di carburanti essenziali e prodotti sui quali persone e imprese fanno affidamento ogni giorno”.

 

 

E se i governi, mentre scriviamo questo post, non hanno ancora vietato il petrolio e il gas russo, è proprio perché temono la turbo-impennata dei prezzi cui un passo del genere darebbe luogo.

Ma le prime operazioni di acquisto che hanno avuto luogo da quando la Russia ha invaso l’Ucraina hanno portato alla luce due fatti:

  • la Russia potrebbe dover vendere il suo petrolio con un bello sconto, considerato che Shell ha sborsato circa 28,50 dollari al barile sotto il cosiddetto Dated Brent, un riferimento per gli scambi fisici di petrolio a livello globale;
  • in ogni caso, fino a (assai improbabile) contrordine, il petrolio russo troverà ancora compratori tra le aziende occidentali che dipendono dal greggio degli Urali.

Il gigante petrolifero russo Rosneft è intanto alle prese con il tentativo di portare a termine un’enorme gara per la vendita di greggio: ben 83 milioni di barili di Urals da aprile a ottobre. L’acquisto di Shell non c’entra con questa gara, ma dà un’indicazione sul possibile valore del petrolio russo dopo l’avvio dell’operazione militare in Ucraina.

 

Staccarsi dall’energia russa è davvero così difficile?

Difficile magari sì: ma non impossibile. Parola dell’opinionista di Bloomberg Liam Denning.

Parte della soluzione, come del resto ha espressamente twittato nei giorni scorsi il guru di Tesla Elon Musk, sta negli idrocarburi (“odio dirlo”, ha scritto, “ma dobbiamo aumentare la produzione di petrolio e gas immediatamente. Tempi straordinari richiedono misure straordinarie”), oltre che nel riavvio delle centrali nucleari dormienti (“speriamo che ora sia estremamente ovvio che l’Europa dovrebbe riavviare le centrali nucleari inattive e aumentare la produzione di energia di quelle esistenti”, ha scritto anche).

 

 

 

Il caso precedente: la crisi petrolifera del 1973

Dopotutto, a seguito dello shock petrolifero del 1973, i Paesi Sviluppati ridussero la loro dipendenza dal petrolio arabo in gran fretta, sottolinea Nathaniel Bullard del BNEF.


Oggi abbiamo più opzioni rispetto a mezzo secolo fa, comprese le rinnovabili a basso costo e l’industria statunitense del fracking. Le shale companies, dal canto loro, sostengono che più di così proprio non possono trivellare. Ma prezzi del petrolio stabilmente sopra i 100 dollari al barile potrebbero rappresentare la “spinta gentile” verso un’espansione della produzione.

Altrimenti c’è sempre OPEC+, lo storico club degli esportatori allargato agli alleati. All’interno del quale, però, la leadership è in capo ai due principali produttori: da una parte l’Arabia Saudita, dall’altra la Russia stessa. Il che – come peraltro confermano gli esiti della più recente riunione – la dice lunga su quanta poca sponda possa trovare l’Occidente su questo versante.

 

Uno sguardo a Venezuela e Canada

Ma c’è anche il presidente del Venezuela Nicolás Maduro, che ha segnalato ieri la volontà di aumentare la produzione di petrolio del suo Paese nel caso le forniture russe venissero escluse dal mercato internazionale. Il tutto dopo un incontro nel fine settimana con i funzionari americani bollato addirittura come “rispettoso, cordiale e molto diplomatico”.

Il Venezuela è un alleato russo e la sua industria petrolifera è sotto sanzioni americane. Sanzioni che proprio in questo momento potrebbero essere allentate per permettere al petrolio venezuelano di tornare sui mercati globali e affrontare il rapido aumento dei prezzi del greggio.

Ma tali sforzi devono affrontare una serie di ostacoli. Alcuni membri del Congresso sono stati aspramente critici circa l’ipotesi di riattivare i legami con il Venezuela, dicendo che gli sforzi per isolare Putin non dovrebbero andare a vantaggio di altri leader autoritari.

A parte il colpo di frusta politico di una ripresa del commercio con il Venezuela, secondo il New York Times, ci sono anche problemi pratici. “Quando hai avuto un periodo prolungato di sotto produzione, non puoi semplicemente girare un interruttore e riportarlo indietro durante la notte”, ha detto Saul Kavonic, analista del settore energetico per Credit Suisse.

Il potenziale taglio all’offerta globale connesso alle sanzioni alla Russia richiederebbe anche di guardare ben oltre il Venezuela per colmare il deficit, ha aggiunto.

I produttori di Alberta, Canada, si sono offerti, sostenendo che il petrolio canadese potrebbe sostituire le importazioni americane di greggio russo. E l’Europa? La sfida è aperta.

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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