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Bollettino AO | Le banche centrali picchiano duro contro l’inflazione, minacce nucleari dalla Russia

I fatti salienti della settimana

Il “blitz dei rialzi”. Da Ulan Bator (Mongolia) a Washington (Stati Uniti), un gran numero di banche centrali ha alzato i tassi di riferimento, in un moto sincronico che ha reso chiaro a tutti – qualora già non lo fosse – qual è oggi la preoccupazione principale: il maggior rialzo dell’inflazione dagli anni Ottanta.

Il che segna peraltro un cambio di passo radicale rispetto ad appena un anno fa, quando gli stessi funzionari delle banche centrali – tra le quali la Fed statunitense – dichiaravano a destra e a manca che il picco dei prezzi si sarebbe presto attenuato.

È molto improbabile che quest’ultimo “blitz dei rialzi”, come lo chiama Bloomberg, segni la fine della campagna anti-inflazione, malgrado il crescente rischio di recessione che stanno correndo diverse economie.

Fed alza di 75 punti base. Così, “dopo aver visto in ritardo l’arrivo della peggior inflazione degli ultimi quarant’anni, e dopo averla combattuta con lentezza” (scrive sempre Bloomberg – e noi citiamo perché sintetizza bene l’antefatto), la Federal Reserve e i suoi omologhi di tutto il mondo hanno ribadito la loro determinazione a vincere la lotta contro l’impennata dei prezzi. Anche a costo di vedere le loro economie espandersi più lentamente o addirittura andare in recessione.

I funzionari della Federal Reserve hanno dato in tal senso un segnale estremamente chiaro, che ha messo un po’ di agitazione addosso ai mercati: sono disposti a tollerare una recessione come compromesso necessario per riprendere il controllo dei prezzi.

Così, mercoledì 21 settembre hanno annunciato un nuovo incremento del federal funds rate di 75 punti base – il terzo consecutivo di questa portata – al range 3-3,25%. Non solo: prevedono un ulteriore inasprimento di 1,25 punti percentuali entro fine anno.

E le altre banche centrali? Giovedì 22 settembre, la Bank of England ha operato un rialzo di 50 punti base, al 2,25%. Dopo otto anni di tassi negativi, anche la Banca centrale svizzera ha optato per un rialzo da 75 punti, portando i tassi allo 0,5%. In tutt’altra direzione la Bank of Japan, che invece li ha tenuti fermi.

La Bce non aveva decisioni in calendario, ma ha fatto notizia lo stesso. La presidente Christine Lagarde, in un discorso tenuto martedì sera a Francoforte, ha affermato: “prevediamo di aumentare ulteriormente i tassi di interesse nel corso delle prossime riunioni”. Il solo punto di disaccordo, al momento, riguarda il grado di aggressività appropriato, tenuto conto che c’è già l’impennata dei costi dell’energia che spinge forte l’Europa verso la recessione.

Giovedì 22 settembre è uscito poi il bollettino economico della Bce, nel quale il Consiglio direttivo ha confermato di voler aumentare ulteriormente i tassi contro l’inflazione.

A proposito di energia. Gli Stati membri dell’Unione europea si stanno affannando per raggiungere entro poche settimane un accordo politico che imponga un tetto al prezzo del petrolio russo.

Un’ulteriore spinta verso questa soluzione è arrivata quando il presidente Vladimir Putin ha annunciato una “mobilitazione parziale” delle truppe, nel quadro di un’escalation della guerra russa in Ucraina.

 

 

Tetti ai prezzi. La misura relativa al petrolio allineerebbe l’Ue agli sforzi degli Stati Uniti per impedire l’impennata del costo del greggio colpendo al contempo le entrate di Mosca.

Quanto al gas, sarebbero allo studio misure alternative al price cap, mentre le proposte di risparmio energetico in vista dell’inverno continuano a dividere gli Stati membri.

Impianti pieni all’86%. Gli impianti di stoccaggio di gas naturale in Europa hanno intanto raggiunto un tasso di riempimento dell’86%. Ora tutto dipende dai prelievi, il cui livello dipenderà dalla mitezza – o meno – dell’autunno e soprattutto dell’inverno.

Gli Usa attingono alle scorte. Dal canto suo, il dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti tirerà fuori altri 10 milioni di barili di greggio a basso tenore di zolfo dalle sue riserve strategiche. Non è casuale: l’Opec sta valutando la possibilità di ridurre la produzione.

Tramonto atomico? Dopo che l’esercito ucraino ha ricacciato indietro le truppe russe da vaste aree di territorio conquistate durante l’operazione avviata sette mesi fa, è arrivata la contromossa.

Le autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, così come le regioni di Kherson e Zaporizhzhia, hanno annunciato un referendum sull’annessione alla Russia. Il voto si svolge tra oggi e il 27 settembre. L’Ucraina e i suoi alleati hanno denunciato le consultazioni come illegali e non ne riconosceranno i risultati.

Sta di fatto che la mossa minaccia di dare una svolta non proprio allegrissima al già molto sanguinoso conflitto, fornendo al presidente Putin la base legale formale per ricorrere all’utilizzo delle armi nucleari.

Assemblea Onu a New York. Soprattutto di questo si è parlato in settimana a New York, all’assemblea delle Nazioni Unite. L’ultima alla quale ha presenziato in qualità di presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, prima del voto di domenica 25 settembre.

L’Ue perde la pazienza. Per la prima volta, l’Unione europea ha avviato un iter che potrebbe costare all’Ungheria 7,5 miliardi di euro in termini di mancati stanziamenti, a meno che il Paese non prenda provvedimenti per arginare frodi e corruzione.

Entro un mese i governi dell’Unione dovranno assumere una decisione finale sul congelamento dei finanziamenti, con la possibilità di estendere la scadenza fino a due mesi.

 

Come si sono mossi i mercati

Effetto banche centrali. Alla luce di quanto detto, non stupisce che i rendimenti globali abbiano continuato a salire durante la settimana. Così come, di fronte all’atteggiamento molto aggressivo della Fed in chiave anti-inflazione, non sorprendono i cali sul fronte azionario Usa.

I mercati europei, dal canto loro, hanno già scontato una lieve recessione e hanno retto un po’ meglio. Spread delle obbligazioni italiane stabili in vista delle elezioni di domenica 25 settembre.

Le mosse di Truss. Anche i rendimenti dei Gilt britannici hanno continuato a salire, malgrado l’aumento BoE più soft delle attese. Qui l’incognita riguarda gli effetti delle ulteriori misure di allentamento fiscale del primo ministro Liz Truss: riusciranno a evitare la recessione? E se sì, a quale costo?

Il ritorno del “king dollar”. La conferma di tassi ultra-accomodanti da parte della Banca del Giappone ha pesato sullo yen, alle prese – come molte altre valute – con un dollaro USA che invece si è rafforzato. Il “king dollar” è tornato. E ha messo sotto pressione gli asset emergenti.

 

Indici azionari Performance settimanale Performance da inizio mese
FTSE MIB -2.38% -1.49%
MSCI Europe -3.52% -7.55%
S&P 500 -1.89% -7.65%
Nikkei 0.16% -7.51%
Shangai Composite CSI 300 -3.56% -9.14%
Indici obbligazionari Performance settimanale Performance da inizio anno
10-yr yield on Italian Bond (BTP) 4.16% 1.17%
10-yr yield on US Treasuries 3.69% 1.51%
10-yr yield on German Bund 0.31% -0.18%
10-yr yield on Eurozone bonds 1.95% -2.54%
Spread Btp-Bund 226.47 punti -4.09%
Materie prime Performance settimanale Performance da inizio mese
Oro 54.42 eur/gr (2.05%) -2.63%
Petrolio Wti 79.27 usd/barile (-1.41%) -1.77%
Valute Performance settimanale Performance da inizio mese
Cambio Eur/Usd 0.9733 (-1.80%) -1.52%
Cambio Eur/Gbp 0.8854 (0.20%) 3.11%

Indici di mercato. Dati aggiornati ore 17.00 del 23/09/22.

 

I market movers della prossima settimana

Nell’area dell’euro è atteso l’aggiornamento sui prezzi al consumo, oltre all’Ifo tedesco. Fari puntati anche sul Pil della Germania. Così come è previsto un update dal Pil statunitense.

Dagli Stati Uniti arriverà anche un aggiornamento sull’indice dei prezzi delle principali spese personali – indicatore strettamente monitorato dalla Fed come parametro dell’inflazione – e sulla fiducia dei consumatori a settembre. Focus sui Pmi cinesi.

 


 

 

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